Mercoledì Social #237

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andrea.savarino

Benvenuti al nostro consueto Mercoledì Social, quale giorno migliore se non il 22 ottobre per parlare di comunicazione e di ascolto delle conversazioni? Dovete infatti sapere che proprio il 22 ottobre 1924, in California, nasceva Toastmasters International, l’organizzazione operante attraverso migliaia di club nel mondo, che offre programmi di progetti educativi di comunicazione e di leadership, con lo scopo di aiutare uomini e donne ad imparare l’arte del parlare e dell’ascoltare.

Tanti più fan, quanti più clienti

E’ un dilemma che ormai attanaglia qualunque brand presente su Facebook, nonché tutti gli attori che come noi ruotano attorno alla presenza social dei brand: avere più fan, significa davvero avere più clienti/consumatori? Come avrete intuito si tratta della famosa questione del calcolo del ROI per quanto riguarda le attività intraprese da un brand sui social.

ROI

Proviamo a fare un po’ di chiarezza e a lanciare qualche stimolo, parlando di un interessante studio fatto da Collective Bias e YetiData per conto di un’importante catena di supermercati. In breve sono stati analizzati per un anno i comportamenti di acquisto dei possessori di loyalty card della catena, mettendo però a confronto coloro che sono fan del brand rispetto a coloro che invece non lo sono. L’idea di fondo era quindi quella di capire se effettivamente i clienti con un legame “social” al brand, evidenziassero comportamenti di acquisto migliori rispetto agli altri clienti.

Volete sapere cosa è emerso? Riportiamo solo qualche dato e vi rimandiamo alla notizia per saperne di più:

– I Fan più attivi del brand hanno speso il 95% in più rispetto ai clienti “not engaged” sui profili social della catena

– I Fan del brand hanno acquistato in media il 35% di articoli in più

– I Fan del brand hanno visitato i punti vendita il 30% di volte in più

La conclusione in questo caso è palese: esiste sicuramente un ROI legato al social media engagement, ovvero (per tornare al dilemma citato all’inizio) i fan di un brand possono rappresentare un bacino di clienti di maggiore valore per il brand, rispetto ai non fan.

Come spesso ricordiamo, perché questo avvenga non è tuttavia sufficiente che un brand sia presente sui social e abbia quindi una propria community: la partita si gioca nella relazione che il brand saprà instaurare coi propri fan, per farli sentire partecipi, per intuire i loro bisogni, per entrare in contatto con loro usando i mezzi, i modi e i tempi più adatti.

Proviamo ad approfondire ulteriormente il tema del ROI, parlando anche di uno studio di eMarketer. Lo studio evidenzia come, nel mercato US, circa 9 brand su 10 utilizzano i social media per alimentare il proprio business; emerge anche l’intenzione di incrementare per i prossimi anni il budget allocato sul social media marketing…tuttavia il 52% dei brand afferma di avere difficoltà nel misurare il ROI delle attività intraprese.

eMarketer

Come uscire quindi dall’impasse e approcciare i social media con maggiore consapevolezza anziché fare un atto di fede sulla loro efficacia ai fini di business? La soluzione risiede nell’identificare dei metri di misura interni (alla singola azienda) anziché esterni, ovvero dei criteri di misurazione che siano specifici per il mercato del brand e per gli obiettivi specifici che il brand vuole perseguire in quel mercato. Come sappiamo, le statistiche e i dati forniti dai social media sono plurimi ma il più delle volte sono utilizzati in modo autoreferenziale: aiutano principalmente a gestire meglio la presenza social stessa e non ci dicono quindi se e quanto la presenza social stia contribuendo al business. Ad esempio, ci sono ormai modelli di analisi complessi che misurano il valore (anche economico) di ogni singola paid impression…ma quanto vale invece l’earned media? E quanto vale un “like” rispetto a un commento sui post del brand? La stessa identica cosa vale anche per le azioni che un utente (cliente o prospect che sia) può fare al di fuori dei canali social del brand: ad esempio per un brand di automotive, quanto vale un test drive fatto da un potenziale cliente? E il fatto che ad esempio un potenziale cliente riesca a reperire sul sito del brand il numero di una concessionaria?

Concordiamo con Joe McCaffrey, di Huge, sul fatto che siamo ormai in un mercato abbastanza maturo perché i modelli di misurazione più tradizionali vengano ampliati e raffinati, affinché possano includere le nuove metriche offerte dai social, nonché adattarsi meglio alle finalità di business dei singoli brand e mercati.

Quando il tweet è suggerito

Risale ormai a quest’estate il fenomeno dei tweet suggeriti da Twitter: se non ci avete fatto ancora caso, agli utenti sta capitando sempre più spesso di vedere nella propria timeline dei contenuti che non sono relativi alle persone seguite. In altre parole vengono proposti all’utente dei contenuti prodotti da “estranei”, con la motivazione (fino a poco fa solo presunta) che una persona seguita da quell’utente ha “preferito” il contenuto di quell’estraneo, oppure, più semplicemente, lo segue. Inizialmente le reazioni degli utenti non sono state troppo positive perché l’istinto è stato quello di chiedersi subito il perché della presenza di contenuti “estranei” all’interno della propria timeline.

Finalmente, la scorsa settimana, Twitter ha fatto ulteriore chiarezza su questo nuovo algoritmo, che corrisponde ovviamente a una nuova strategia del network. L’idea infatti è quella di cercare di stimolare e incuriosire gli utenti, proponendo nuovi contenuti e account che vanno aldilà della propria cerchia più ristretta di contatti. Una logica che, se vogliamo, contrasta con l’approccio iniziale di Twitter, che prevedeva appunto la connection tra due utenti perché questi potessero mandarsi messaggi privati e ovviamente vedere l’uno i contenuti dell’altro. All’interno di questa nuova strategia c’è invece, ad esempio, il fatto che quando un utente non ha nulla di nuovo da visualizzare nella propria timeline (relativamente alle persone che segue) Twitter propone automaticamente una serie di tweet suggeriti.

Twitter

Dal punto di vista dell’utente, queste novità possono rendere l’uso di Twitter più stimolante e dinamico, dal punto di vista dei brand invece riconferma quanto sia cruciale riuscire a proporre contenuti interessanti e mirati sul canale: gli algoritmi di Twitter, infatti, non suggeriscono i tweet basandosi sul semplice criterio dell’amicizia tra utenti, bensì sulla capacità dei tweet di generare interazioni e di diventare quindi potenzialmente rilevanti per l’utente.  Sono questi gli obiettivi che, ancora più di prima, deve perseguire un brand se vuole incrementare le proprie possibilità di essere visto da più utenti, ovvero di essere “suggerito” da Twitter.

L’inarrestabile ascesa del digital advertising

Vogliamo condividere con voi l’ultimo report rilasciato da Adobe sul digital ADV, aggiornato al terzo trimestre 2014. Se non li avete ancora visti, i report di Adobe sono molto utili poiché raccolgono milioni di consumer data sui branded site e li confrontano con l’anno precedente, così da individuare i trend più interessanti e azzardare anche dei forecast. Vi riportiamo qui solo alcuni dati interessanti mentre vi rimandiamo al report per approfondire l’analisi di Adobe.

– Rispetto allo scorso anno, la spesa per il Search AD ha avuto un andamento differente a seconda dei mercati: per l’automotive ad esempio è cresciuta del 30%, mentre per il finance è scesa del 9%

SearchAD

– Il Click Through Rate sta aumentando, trasversalmente ai paesi e ai motori di ricerca: nell’insieme è aumentato del 18%. Le campagne dei brand risultano infatti più performanti grazie alla maggiore efficacia dei SEM ads in termini di targeting

CTR

– Lato social è interessante notare il netto incremento di post su Facebook e delle interazioni generate. In particolare, per il settore media ed entertainment, il posting sul canale è aumentato del 100%, mentre è il mercato retail ad avere generato l’incremento maggiore di interazioni (+13%)

FBpost

Le ragioni di questi trend sono diverse ma probabilmente accomunate da una cosa sola: il calo del reach organico sul canale. E’ a fronte di questo calo infatti, che i brand hanno da una parte incrementato la frequenza di posting, dall’altra hanno intensificato il paid media (proponendo quindi i propri contenuti ad un pubblico sempre più allargato) e si stima infatti un incremento del 10%-20% nel prossimo trimestre; infine Facebook stesso ha privilegiato una selezione più accurata dei contenuti da mostrare gli utenti, che se da una parte ha comportato appunto il calo del reach organico, dall’altra ha impattato positivamente sulle interazioni con gli stessi.

Dal reale al virtuale e viceversa

Nell’arco dell’anno abbiamo più volte trattato il tema dei teenager e del loro rapporto coi social network; in particolare abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza (qui e qui) sul loro presunto abbandono graduale di Facebook. Ciò che emerge, in realtà, è che i giovani rappresentano ancora una parte fondamentale dell’audience di Facebook, nonché degli utenti più attivi sul canale…parallelamente però è anche vero che si stanno allargando anche ad altri territori, quali ad esempio la fruizione internet da Mobile, l’uso di Instagram e soprattutto dell’instant messaging.

Ma cosa si cela dietro a questo fenomeno? Alcuni suggerimenti ci vengono dati da un sondaggio online realizzato in UK,  su circa 1000 teenagers, da Comres.

Tra i dati più interessanti ritroviamo infatti che:

– Il 25% degli intervistati ha dichiarato di sentirsi più felice online che nella vita reale

– Il 25% si definisce “social media addicted”

– Il 10% ritiene di essere compreso (e conosciuto) di più dagli amici online piuttosto che da quelli reali

Teenager

Eppure emergono anche queste altre evidenze:

– il 66% ha dichiarato di ritenere più importanti gli amici reali

– il 33% ha incontrato di persona almeno una volta qualcuno conosciuto inizialmente tramite i social network

Non è facile ovviamente avere un quadro completo (e corretto) di un fenomeno così complesso quale quello delle relazioni tra teenagers; quello che si evince da questi pochi dati è che c’è sicuramente un conflitto di interessi e di aspettative tra le amicizie reali e quelle virtuali: da una parte i teenager tentano probabilmente di mettersi in gioco nelle relazioni reali, tuttavia a fronte o a seguito di difficoltà e delusioni approdano al mondo virtuale, dove però si ritrovano nuovamente a desiderare una relazione vera, correndo di conseguenza il rischio di incontrare un estraneo.

L’uso crescente di Instagram (dove, grazie alle immagini, i teenager raccontano di sé e della propria vita in modo diretto e immediato) e dell’instant messaging (dove, nuovamente, i teenager hanno trovato una modalità di comunicazione immediata e diretta ma stando nel contempo al riparo da un confronto diretto con l’interlocutore) costituiscono in sostanza lo scenario di questo conflitto di interessi e di aspettative.

La sfida per i brand che vogliono parlare a questo target è quindi quella di riuscire ad inserirsi in un rapporto “personale” col teenager e tra i teenager, consentendo loro di esprimersi e di interagire (sia tra di loro sia col brand) offrendo dei contenuti che possano essere ritenuti rilevanti.

Per questo mercoledì social è tutto, ci vediamo alla prossima!