THANK GOD WE ARE SOCIAL #266

Thank God We Are Social
stefano.cucinotta

Questa è una storia d’amore.


È una storia di nasi all’insù, di cieli spruzzati di stelle e di mondi lontani. Una storia che ci viene raccontata dalla più straordinaria strategia di comunicazione degli ultimi anni.


Preparatevi a fare un salto nell’iperspazio. Ma prima, godetevi un po’ di musica.



Questo signore lo conoscete già: è Chris Hadfield, diventato famoso per aver dedicato la sua versione di “Space Oddity” all’indimenticato David Bowie. Pochi sanno che il video – più di 32 milioni di visualizzazioni su You Tube – risale in realtà al 2013, e venne girato durante l’ultimo giorno della missione di Hadfield sull’International Space Station. Per una complicata questione di diritti l’astronauta ha potuto pubblicarlo solo quest’anno, in occasione della scomparsa del cantante. A onor di cronaca, più di recente qualcun altro ha deciso di dedicare un’intera costellazione al Duca Bianco: il progetto si chiama Stardust for Bowie, e siete ancora in tempo per prenderne parte.


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Ma molto tempo prima che il signor Hadfield nascesse, e che Bowie immaginasse il suo Ziggy Stardust, l’uomo era già perdutamente innamorato dell’universo. Uno di quegli amori tormentati, pieni di rispetto e paura. Quando guardi qualcosa e ti senti minuscolo, e ti viene voglia di avvicinarti un po’.


Un tempo ci si addentravano solo i romanzieri più arditi, che provavano a raccontarci di razzi improbabili e pianeti ostili. Poi c’è stato il piccolo passo dell’uomo e niente è stato più lo stesso (con buona pace dei complottisti). E mentre i giovanotti dello Smithsonian Museum stanno eseguendo una scansione 3D completa dell’Apollo 11 per farci viaggiare (virtualmente) le generazioni future, noi seguiamo le esplorazioni spaziali sui nostri monitor e ne celebriamo i successi come se si trattasse di eventi sportivi.


Come in ogni grande storia d’amore, però, abbiamo imparato ad aspettare. Oggi, dopo un viaggio di dieci anni, possiamo goderci le immagini di Plutone scattate dalla sonda New Horizon, piene di dettagli e colori (assaggiate questa fetta di superficie ad alta risoluzione). Mentre scrivo, New Horizons è seguita su Twitter da quasi 300.000 followers (alcuni già in prima fila da un anno) e la sua storia è già roba da film.



Se tutto questo non vi è nuovo, è perché i pettegolezzi cosmici si incastrano di continuo nelle nostre bacheche, tra gattini e foto di week end al lago. Philip Bump del Washington Post scrive:




Here’s a simple tip for making your content go viral on social media: build a spacecraft and have it fly through the empty cosmos for nine years until it can take pictures of a planet(-like thing) that no one has ever seen. Easy-peasy.” 



La formula è facile, e sembra funzionare: la NASA è in sesta posizione nella classifica dei siti governativi americani più visitati (al primo posto l’immancabile forecast.weather.gov), e ha toccato nelle scorse settimane un invidiato terzo posto: una medaglia di bronzo da venti milioni di visitatori al giorno.


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Certo, gli ostacoli sono tanti, ma parliamoci chiaro, la NASA comunica meglio della maggior parte dei brand. Ha a disposizione contenuti pazzeschi, e riesce a condividerli in modo divertito e divertente. Un’esplosiva combinazione di “blind luck and shrewd management”, com’è stata definita su Quartz.






What’s up for July? Use Saturn as your guide to a tour of the summer Milky Way. Spot planets, constellations, nebulae and galaxies. Watch and see when and where to look up. Credit: NASA #space #science #NASA #planets #astronomy #fun #telescope #saturn #cassini


Un video pubblicato da NASA (@nasa) in data: 12 Lug 2016 alle ore 04:05 PDT




Facciamo un altro tuffo indietro nella storia:
“Atmospheric entry has started. Time to get REALLY nervous. Now I’m in the even minutes of terror.”

Questo è stato il primo tweet relativo a una missione spaziale: siamo su Marte, è il 2008, e Veronica McGregor, head of communications alla NASA’s Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, decide di usare questo nuovo mezzo. E di scrivere in prima persona, come se fosse la navetta a parlare. Succede spesso anche oggi: sentire la “voce” di una sonda ci rende particolarmente empatici.
“Parachute is open!!!!! Come on rocketssssss!!!!! I’ve landed!!!!!!!!!!!!!”

Boom. Questa scorpacciata di punti esclamativi ci porta a fare un salto di otto anni: oggi @NASA ha 17,5 milioni di follower su Twitter, più di 16 milioni di fan su Facebook e 14 milioni su Instagram. Quando New Horizons è stata lanciata Facebook era un pargolo di due anni, su Twitter qualcuno aveva composto il primo messaggio e Instagram… Beh, Instagram non esisteva neanche.



We sent trailblazing science, cargo to International Space Station aboard a SpaceX resupply mission. Instruments to perform the first-ever DNA sequencing in space, and the first international docking adapter for commercial spacecraft, are among the cargo scheduled to arrive at the International Space Station after Monday’s 12:45 a.m. launch. The spacecraft will arrive to the space station at 7 a.m. Wednesday, July 20. Dragon’s cargo will support dozens of the more than 250 science and research investigations. This long exposure image is of the Dragon spacecraft launching on its way to the space station and the Falcon 9 rocket’s first stage on its way home. SpaceX reported that it will be used again for a future flight. Image Credit: SpaceX #nasa #space #iss #spacestation #isscargo #science #launch #falcon9 #dragon

Una foto pubblicata da NASA (@nasa) in data: 18 Lug 2016 alle ore 09:04 PDT


L’agenzia spaziale più cool di sempre ha all’attivo 500 tra account e piattaforme, supervisionate da una sorta di eroe nazionale, il social media manager John Yembrick:




Non è così dura come sembra… ma gli scienziati sono abituati a parlare con i loro pari. Il nostro pubblico è trasversale: dobbiamo parlare a un bambino delle elementari e a un uomo di 90 anni. Il nostro lavoro è trasformare il complesso in semplice.



Ovviamente per raccontare grandi storie servono anche grandi personaggi: testimoni di spettacoli che noi quaggiù possiamo solo immaginare. Gli astronauti stanno vivendo un momento d’oro. Da faccioni nascosti dietro caschi in bianco e nero sono diventati influencer, reporter, content creator, capaci di raccontare ai comuni mortali com’è stare lassù.


Quindi seguiamo Tim Kopra, che festeggia con noi il 100.000° giro intorno alla Terra dell’ISS, live su Snapchat. Riuscendo anche ad essere romantico, nerd e spiritoso… e parliamo di un uomo che vede 16 albe e 16 tramonti ogni giorno.


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In uno slancio patriottico seguiamo il ritorno a casa della Samantha nazionale, ci godiamo i tramonti e i landscape di Tim Peake, e le aurore boreali dall’ISS.


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Lo so cosa vi state chiedendo da qualche minuto, ma in questo caso la risposta è no, non si può giocare a Pokemon Go nello spazio.


D’altro canto, non è che gli astronauti stiano lì a condividere roba dalla mattina alla sera (anche perché i concetti di mattina e sera diventano relativi, lassù).



“We don’t have any time scheduled in our day for social media, and our off time is actually very limited on the space station,” dice Reid Weisman su Popular Science. “We generally work about a 12-hour day.”

L’attività degli astronauti sui social media è volontaria ed esplode letteralmente in termini di popolarità online quando danno nuove prospettive a fatti che succedono sulla Terra. Tipo il saluto vulcaniano al leggendario Leonard Nimoy, eroe di Star Trek.

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Se vi state chiedendo come siano messi a wi-fi, la risposta è: bene ma non benissimo. Fino a qualche tempo fa la connessione era assicurata solo per 20 minuti per ogni orbita, e anche oggi – quando c’è – è piuttosto lenta, paragonabile a un buon vecchio 56K. Spesso è più facile usare un software che converte tweet in mail e viceversa per riuscire a gestire il tutto.


Hanno le immagini giuste. Hanno gli uomini giusti. Hanno un metodo di divulgazione scientifica che si è scrollato di dosso la polvere delle lezioni di fisica e che è stato reso accessibile a tutti. Hanno una capacità di storytelling che riesce ad essere puntuale ma non sopra le righe, con un tenore di 300 tweet al mese, senza mai sfiorare la noia o lo spam. Sanno sorprendere, intrattenere, commuovere. Non male come partner, eh?


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Tutto questo coordinato da una squadra di social media manager che non hanno mai staccato un piede da Terra ma si sentono (e sono a tutti gli effetti) parte del team, come il già citato Yembrick e il collega Dustin Greer, di soli 26 anni:



“Everyone here, from the guys designing new propulsion methods to our astronauts living aboard the International Space Station, plays an important role, and it takes all of us working together to accomplish our missions. We really are a well-oiled machine.”

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Immagini così sanno mettere tutto in prospettiva.


Verrà un giorno in cui lo spazio non sarà un sogno lontano, ma una nuova casa. Probabilmente non lo vivranno i nostri figli, o i nostri nipoti: la sci-fi in questo senso è stata un po’ ottimistica.


Ma quel giorno qualcuno guarderà indietro e la Terra sembrerà una palla placida e azzurra, e ogni casino sembrerà lontano. Lontani anni luce, sarà difficile capire quanto l’avremo sputtanata, la Terra. E allora forse quel qualcuno penserà alle centinaia di uomini e donne che avranno reso possibile tutto ciò, davanti agli occhi ammirati del resto del mondo.


Intanto, quello che possiamo fare è sederci comodi e goderci sui monitor il nostro posto in prima fila. Cinquant’anni fa era fantascienza. Tra cinquant’anni lo chiameranno un buon inizio.


Grazie per essere arrivati fino a qui: vi meritate ancora un po’ di musica.




Continuate a guardare lontano.