THANK GOD WE ARE SOCIAL #336

Thank God We Are Social
alessandro.muraca

Lo Sportivo più influente del 21esimo secolo

23 settembre 2017, LeBron James, attraverso un tweet si rivolge al Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, esordendo con: “Tu cog**one”.

No, non è un post di Fotografie Segnanti.

Prima di parlare dei motivi dello “scontro”, facciamo un passo indietro: chi è LeBron James e com’è arrivato al punto di potersi permettere di insultare Trump così apertamente?

LeBron James nasce il 30/12/1984 ad Akron, Ohio. Come spesso accade, viene cresciuto soltanto dalla madre, in condizioni economiche precarie. Ma nonostante le difficoltà, il talento per la pallacanestro gli apre le porte del paradiso: a 17 anni è sulla copertina della più importante rivista sportiva americana con il titolo “The Chosen One” (il prescelto). Il “Re”, suo soprannome più utilizzato, non delude aspettative, anzi le supera: 3 titoli NBA, 2 ori olimpici e una serie di record che hanno riscritto e stanno riscrivendo la storia dello sport. Perché quindi parlarne del TGWAS? Perché per la prima volta nella storia dello sport, un atleta della sua caratura ha riconosciuto la propria influenza verso le persone e ha deciso di abbracciare le responsabilità che questo comporta, sfruttando al meglio ogni mezzo di comunicazione in suo possesso, in particolare i social network. 

La quantità di utenti che può raggiungere con un post è altissima: su Twitter i fan sono quasi 40 milioni, su Instagram 34 milioni e su Facebook 24 milioni. Davanti a lui ci sono soltanto Cristiano Ronaldo e Neymar JR. Il numero di Ottobre di GQ lo elegge come “il più grande atleta vivente“, e il motivo di questa scelta va ben oltre i meriti sportivi o il numero di seguaci sui social network. L’elezione si è svolta in un clima di sobrietà e morigeratezza.

In un passo dell’intervista afferma:

Why is being known for speaking up on social issues so important to you? “I don’t do it to get praise or to be in an article. I do it because it’s my responsibility. It’s my responsibility.”

LeBron James non è soltanto il giocatore di basket più forte del mondo, è un atleta che ha deciso di non concentrare i suoi sforzi comunicativi soltanto sul semplice business, ma di andare oltre e diventare un simbolo per la propria comunità, in un momento non semplice per la storia americana.

Da Trump alle marce pro-nazi, passando per Kaepernick e i conflitti polizia – comunità afroamericana, gli Stati Uniti stanno vivendo uno dei periodi più difficili della loro storia recente.   La scelta di LeBron di schierarsi apertamente viene sposata totalmente da Nike, il suo sponsor principale, con cui solo l’anno scorso ha firmato un contratto a vita di cui non si sa con certezza il valore (si parla di 1 miliardo di dollari!). 

A febbraio viene lanciato un commercial dedicato all’ “Equality” tra bianchi e neri.

LeBron è ovviamente il volto principale dello spot, in cui il messaggio è molto forte: “equality has no boundaries“, raccontato sulle note di una cover di “A Change is Gonna Come”, canzone di Sam Cooke simbolo della segregazione razziale degli anni 60. James non si nasconde più, è un vero e proprio attivista che non esita quando serve esporsi, indipendentemente dalla scomodità dell’argomento.

Inquadrato meglio il contesto, possiamo tornare al tweet con cui abbiamo iniziato.

Il 23 settembre, Donald Trump decide di non invitare alla Casa Bianca i campioni NBA in carica, i Golden State Warriors (avvenimento che si ripeteva dai tempi di Ronald Reagan). “Andare alla Casa Bianca è considerato un grande onore per i campioni in carica. Stephen Curry sta esitando, per cui l’invito è cancellato!”

Le motivazioni del neo-Presidente riguardano quindi principalmente Stephen Curry, la stella della squadra, che a suo dire avrebbe esitato (vista l’amicizia con Obama e lo schieramento di Trump).

Questa la reazione di LeBron: “Tu cog**one, @StephenCurry 30 aveva già detto che non sarebbe venuto! Quindi non serve nessun invito. Venire alla Casa Bianca è sempre stato un grande onore, fino al tuo arrivo!” 

Il tweet raggiunge 1,5 milioni di like e 666 mila retweet, entrando nella top 10 dei tweet a più alto engagement della storia di Twitter.

I numeri non sono tutto ma danno un’idea di quante potenzialità ci siano dietro la parola “influencer“. Come Mohammad Ali contro la guerra del Vietnam, LeBron ha deciso di prendere una posizione e di farlo a gran voce, usando un mezzo nuovo per un attivista sportivo: Twitter.

Il messaggio che voleva dare con questa uscita è già chiaro di suo, ma LeBron nei giorni successivi ci tiene a precisare: Because the people run this country. Not one individual. And damn sure not him.

Indipendentemente dalle posizioni politiche o dalle preferenze sportive, siamo davanti a una rivoluzione vera e propria: LeBron James ha preso il concetto di “influencer”, ne ha capito le infinite potenzialità e l’ha portato nel 2017, senza limitarsi a essere una guida per le persone ma con l’obiettivo di lasciare un segno nella società.

Come riporta il billboard, oramai diventato simbolo di una città intera: “siamo tutti testimoni”.