THANK GOD WE ARE SOCIAL #291

Thank God We Are Social
camilla.vanzulli

Oggi parliamo di uno dei più grandi tabù che affiggono il mondo della pubblicità da sempre. Parliamo di furti di idee. Di scopiazzate. Di plagi. Mostri da cui chiunque lavori nell’advertising vorrebbe tenersi bene alla larga. 

Quante volte abbiamo cestinato un’idea solo perché era già stata fatta? Quante volte abbiamo sbattuto la testa contro il muro nel tentativo disperato di trovare qualcosa che fosse davvero originale, innovativo, never done before? Siamo ossessionati dal pericolo di arrivare secondi. Dal rischio di ripetere i passi di qualcun altro. Ma oggi, finalmente, è arrivato il momento di liberarci di questo peso. È solo rinunciando all’ossessione del nuovo, che possiamo fare qualcosa di buono. E di diverso.

È tutta qui la differenza tra il copiare e il saper rubare.

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Se c’è una fonte di ispirazione inesauribile a cui possiamo attingere per rubare idee è internet. 

Il web infatti è una miniera d’oro da setacciare a fondo per scovare qualcosa di (non) nuovo.

Si sa, una buona idea possono averla tutti: è saperla scovare nel mare magnum digitale, e riutilizzare a dovere, che fa tutta la differenza.

Molte più campagne di quelle che pensiamo sono rubate da YouTube, da video amatoriali che hanno conquistato la rete più o meno inspiegabilmente.

Ed è abbastanza facile capire il perché dietro a milioni di views nel caso del video rubato da Cadbury all’Internet. Spoiler: c’entrano gattini.

E qui si arriva al paradosso. Creare un’idea a partire da un’idea identica di un altro brand.

Anche in questo caso sono il savoir faire e l’ironia a dare valore aggiunto alla copia – e più il materiale originale è famoso, più la copia deve essere all’altezza delle aspettative. È il caso di BookBook, il “primo” catalogo ufficiale Ikea, raccontato come uno spot Apple.

E già che ci siamo, perché non attingere a piene mani dal pozzo senza fondo della letteratura? Una buona citazione può svoltare uno spot. Da un lato, perché i grandi autori sanno parlare dell’animo umano meglio di qualsiasi copywriter (fortunatamente), un po’ perché nello spettatore scatta quel meccanismo di compiacimento derivato dal conoscere e dal ritrovare il materiale di partenza.

Non è una semplice citazione: le parole di Walt Whitman ad esempio ci riportano al “Capitano, mio capitano!” de L’attimo fuggente. I versi di Bukowski diventano manifesto dello spirito Levis. La poesia ruba dalla vita, la pubblicità dalla poesia.

Poi, il cinema. Da sempre legato alla pubblicità (se ci pensate, L’uscita dalla fabbrica dei Lumiere era una demo di prodotto della cinepresa), offre un’abbondanza di temi, stili e personaggi (registi e attori) che ritroviamo su stampa e piccolo schermo. Ridley Scott diresse il primo spot Apple, quel capolavoro di fantascienza che a sua volta era ispirato agli incubi orwelliani. E poi Spike Lee, David Lynch, Michael Bay, Tornatore. Più di recente, Wes Anderson, che ha pescato abbondantemente dal suo immaginario color pastello per farci viaggiare sul treno di H&M.

Ma ci sono anche i videoclip, quelli con cui siamo cresciuti. Delle piccole opere d’arte, veri film di 4 o 5 minuti in cui i registi più famosi hanno dato fondo ad ogni idea visiva. Di materiale da copiare ce n’è in abbondanza. Il formato è breve, le immagini spesso surreali, pop, il montaggio e le inquadrature mutuati dal cinema e reinventati.

Un esempio su tutti, l’ultimo gioiellino di Kenzo che pesca a piene mani dal leggendario video dei Fat Boy Slim con il gigantesco Christopher Walken (ma anche Margaret Qualley non se la cava male). E qui Spike Jonze ci insegna che si può rubare anche da se stessi.

A ben vedere, si tratta di pescare in un lago sovrappopolato di pesci già pescati, rigettati in acqua, mischiati, morti e rinati. Niente di nuovo, o poco, ma reinventato ogni giorno in forme diverse. È un po’ come giocare con il pongo. Nessuno si aspetta di trovare qualcosa di unico nella scatola. È pasta modellabile colorata, milioni di persone l’hanno tenuta in mano. Eppure in mano nostra, le composizioni possibili sono infinite. 

Tempo fa ho letto una domanda, da qualche parte. Era più o meno così: “Quando un pittore dipingerà una tela con l’ultimo soggetto originale, con l’ultima combinazione di colore… o quando un musicista comporrà l’ultima melodia con l’ultima combinazione di note, allora, in quel momento non ci sarà più niente da dipingere? Niente da suonare?” È un paradosso, certo. Eppure quella domanda è lì sospesa. E la risposta è solo una. Continueremo a rubare.