La conversazione, gli influencer e l'evoluzione di quattro tipi media
Esistono molti modi di classificare i canali di comunicazione, questo è uno dei più efficaci:
- Owned media: quelli in cui le marche parlano di sé e dei propri prodotti e dove le persone accedono volontariamente (esempio: website);
- Paid media: i canali in cui le marche pagano per interrompere un’esperienza con il proprio messaggio (esempio: banner, spot pubblicitari);
- Earned media: le persone realmente (o potenzialmente) interessate alla marca, ai prodotti e al mondo che vive intorno a questi (esempio: tu che leggi questo post);
- Promoted media: le conversazioni rilevanti a cui viene data visibilità più ampia (esempio: promoted tweets, sponsored stories);
Gli “earned media” sono i canali più genuini ed efficaci perché fanno leva sul passaparola, sullo scambio onesto e trasparente di opinioni tra persone. I “promoted media” funzionano bene perché aggiungono visibilità alle conversazioni che altrimenti impiegherebbero più tempo a diffondersi. I media “paid” e “owned” possono avere un ruolo all’interno di una conversazione, ma se alla base non c’è una vera relazione tra la marca e le persone, non sono sempre così efficaci. Nel primo caso perché vengono ignorati, nel secondo, perché non vengono visti.
La conversazione sta cambiando il modo in cui le marche percepiscono il proprio prodotto e il proprio approccio alle persone: è sempre più importante capire realmente cosa vogliono i consumatori. Il miglioramento dei prodotti e dei servizi è il risultato naturale: ascoltare le opinioni delle persone non solo permette di migliorare la propria conversazione (che spesso è parte dell’esperienza del prodotto), ma di migliorare la relazione stessa delle persone con i brand.
Migliorare la conversazione è già un passo che consente di rendere il prodotto e il servizio un po’ migliore: quanto può aver senso separare il prodotto / servizio dal rapporto che questo genera?
Gli influencer e il cambiamento
Il ruolo dei cosiddetti “influencer” in questa logica è fondamentale. È importante però tenere presente il concetto di influencer, per evitare errori: un influencer è una persona che può avere un impatto su altre persone riguardo un tema. Non si tratta solo dei “VIP” o dei blogger più conosciuti: ci sono tre livelli di social influence: tutti sono rilevanti e utili in modo diverso nelle conversazioni sul social web. Una delle classificazioni più interessanti è quella proposta da Forrester Research, in cui sono individuati:
- I social broadcaster (i VIP) che hanno un livello di awareness alta, ma non necessariamente legami forti con i propri follower;
- I mass influencer, che hanno molti follower e legami più forti;
- I potential influencer, che sono potenzialmente influenti per gruppi più o meno grandi di persone e per temi definiti;
È interessante vedere come le marche stiano imparando che non bastano i social broadcaster per sviluppare una conversazione efficace. A volte non sono sufficienti nemmeno i mass influencer, ma occorre un approccio parallelo su più tipi di influencer contemporaneamente. Anche sui “potenziali” influencer.
I social media continuano a evolversi con un ritmo frenetico: diventa ogni giorno più importante la componente strategica, non basta più scegliere un canale o un tipo di influencer, ma occorre muoversi su più livelli, individuando le combinazioni migliori.
Cosa ne pensate? Notate anche voi un approccio sempre più trasversale da parte delle marche che hanno più successo a livello di conversazione? A volte un approccio di successo può sembrare anche molto semplice, ma spesso comprende molti livelli e canali.
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