Bots, bots, bots. Da quando Facebook – durante l’F8 – ha annunciato la possibilità, per gli sviluppatori, di creare le proprie applicazioni personalizzate all’interno di Messenger, sono diventati il tema hot del momento.
Facebook ha delineato la sua roadmap per i prossimi 10 anni e l’intelligenza artificiale è una delle aree chiave verso cui Zuckerberg ha dichiarato di voler investire. L’altra area su cui Facebook sta investendo moltissimo è quella delle applicazioni di messaging, e il motivo è molto semplice: le persone interagiscono su piattaforme di questo tipo in modo sempre più massiccio. Facebook Messenger conta oggi più di 900 milioni di utenti mensili, e ogni giorno vengono scambiati più di 60 miliardi (!!!) di messaggi attraverso WhatsApp+Facebook Messenger (un volume triplo rispetto agli SMS, che si fermano a “soli” 20 miliardi).
Le applicazioni di messaging hanno superato già da qualche mese il numero di utenti rispetto ai social network (non dobbiamo pensare soltanto a WhatsApp e Facebook Messenger infatti, ma anche a KIK, WeChat, Line, etc.):
Per questo motivo abbiamo voluto raccogliere alcuni spunti interessanti che spieghino in modo molto concreto le opportunità offerte da soluzioni di questo tipo, osservando cosa è già stato fatto da chi ha iniziato a usarli in ambiti diversi – anche su altre piattaforme diverse da Facebook Messenger.
Poncho è stata una delle prime applicazioni a sfruttare le nuove API di Messenger in Invio/Ricezione. Si tratta di un bot focalizzato sul meteo, che permette alle persone di chiacchierare – letteralmente – e fare domande come “dovrei portare con me gli occhiali da sole oggi?”, o se “ci sarà il sole nel weekend?”. Una volta iniziata la conversazione, le persone riceveranno due notifiche al giorno – se lo desiderano – e verranno così aggiornate sul meteo, in base alle domande che hanno posto in precedenza.
L’ambizione di Poncho è di permettere alle persone di conversare con “lui” come si farebbe con un amico: l’aspetto interessante dei bot è proprio l’intelligenza artificiale che li “anima” e che si basa sul concetto che più si interagisce con loro, più imparano e comportarsi in modo intelligente, e vicino a quello di un umano.
Quartz è un’applicazione molto diversa, ed è strettamente legata al mondo dell’informazione (nasce infatti dal lavoro di un gruppo di giornalisti). Quartz offre un’esperienza di fruizione delle notizie completamente diversa rispetto a quella a cui eravamo abituati, e la porta in un contesto molto più familiare per gran parte delle persone: parte dalla logica per cui un publisher non può pensare di risultare utile (e interessante) per le persone se invia loro – in modalità push – delle notizie dal proprio website, e ribalta questo paradigma. Le news vengono infatti proposte alle persone che possono dare un feedback – positivo o negativo – in base all’interesse per l’articolo in questione. Questo fa sì che la fruizione di contenuti si inserisca in una vera e propria conversazione con un bot che impara a conoscere cosa ci interessa e cosa invece no.
L’app permette di inviare al bot messaggi e ricevere risposte (link, ma anche emoji, GIF e immagini, che rendono la conversazione molto simile a quelle che si intrattengono con in propri amici). Quartz permette di “accettare” la notizia proposta, o di passare alla prossima, ma anche di personalizzare l’esperienza indicando quante notifiche si vogliono ricevere, e di che tipo.
Accade sempre così: alcuni esperimenti vanno bene, altri meno bene. È il caso di Tay, il chat bot sviluppato da Microsoft e pensato per i millennial. La sua bio di Twitter dice “Più parli con Tay, più lei diventa smart”. Il problema è che Microsoft ha dato per scontato che le persone avrebbero twittato a Tay solo cose smart, appunto. Ovviamente non è stato così, e molti commenti razzisti e volgari dopo, Tay è stata messa in disparte da Microsoft. Sappiamo però che ogni “fallimento” ci offre un insegnamento, e Tay ci ricorda i rischi che si celano dietro l’intelligenza artificiale. L’intelligenza artificiale è pericolosa? No, lei non lo è, ma noi sì.
Ora non ci resta che sperare che nessuno insegni a un bot a scrivere report sull’innovazione – o altre tematiche che trattiamo sul nostro blog – o a scrivere post meglio di come farebbe un umano… ma forse è meglio non pensarci. Per il momento.