Non chiamateli post
Molti si sono abituati a utilizzare la parola “post” per indicare qualsiasi contenuto sui canali social.
Che si tratti ciò che ha pubblicato un brand qualche ora prima su Instagram, di contenuti animati che compongono un piano editoriale o di un articolo di approfondimento su un blog, l’espressione “post” è ormai entrata tra i termini che utilizziamo tutti i giorni.
Il contenuto, però, evolve molto più velocemente del linguaggio: buona parte degli elementi che attivano una relazione tra brand e persone oggi vanno ben oltre il concetto di “post”.
Ecco qualche esempio di contenuti che faremmo fatica a definire semplicemente “post” e che oggi sono già realtà.
Oggi è possibile dialogare con personaggi immaginari, che interagiscono in modo intelligente utilizzando tool di messaging, attenendosi a una personalità e a un plot predefinito.
Questa tecnologia, basata su un utilizzo di artificial intelligence, non funziona solo per portare in vita personaggi “fictional” (come ad esempio Miss Piggy), ma soprattutto può evolvere il modo in cui i brand forniscono una parte dei loro servizi attraverso i canali social di messaging, come è avvenuto recentemente per KLM.
Non si tratta “solo” di un utilizzo puramente funzionale: questi “messenger bot” hanno un fortissimo potenziale a livello comunicazione, se utilizzati come strumento per connettere le persone e non come un sostituto della parte umana della conversazione. I messenger bot potranno diffondersi in modo sempre più forte grazie a veri e propri marketplace: spazi in cui individuare e scegliere quelli più interessanti per le esigenze dei singoli. Come è già avvenuto nel caso del Bot Shop Kik e come potrà avvenire presto per rispetto alla Messenger Platrform di Facebook.
Un’altra possibilità, molto lontana dal semplice concetto di “post”, è la creazione di fiction basate su intelligenza artificiale che si realizzano grazie all’interazione con le persone. Ad esempio, dialogando con Alexa su Amazon Echo, potete partecipare a “The Wayne Investigation“, per scoprire chi ha ucciso i genitori di Batman.
Le persone si aspettano di interagire con i brand così come dialogano con altre persone. Reagire in tempo reale a tutto ciò che avviene di rilevante per una community è una caratteristica importantissima per le marche e va ben oltre la semplice realizzazione di post.
Può significare organizzare un momento di incontro dal vivo con le persone di riferimento della community o portare la community a vivere un’esperienza in diretta in situazioni normalmente difficilmente accessibili, influenzando la narrazione con le reazioni delle persone, utilizzando tecnologie di live video, oggi sempre più accessibili, grazie soprattutto a Facebook Live e Periscope.
Il concetto di contenuto social è così ampio oggi che può estendersi a progetti di approfondimento continuativi, ma anche a una semplice emoji. Ad esempio, può consentire di ordinare una pizza via Twitter semplicemente digitando “?”.
Si può applicare a contenuti video molto immediati, girati in verticale e che svaniscono dopo poco tempo. Come avviene per i brand su Snapchat, presenti (anche in Italia), dove ci sono community molto coinvolte su un tema verticale.
Altri esempi?
Un utilizzo di WhatsApp per aggiornare le persone sul prodotto o servizio che hanno acquistato, l’utilizzo di Facebook come tool per collaborare e la creazione di un progetto di contenuto a supporto, l’utilizzo di tecnologie social per veicolare video a 360°, la scelta di Instagram per connettersi con le persone attraverso contenuti di forma più lunga di semplici foto o video da pochi secondi.
Questi sono solo alcuni degli esempi che aiutano a inquadrare come il concetto di contenuto si sia evoluto ben al di là del concetto di “post”.
Ma come possono vivere in modo coerente tutti questi contenuti, per poter generare un valore e un impatto continuativo sulle community?
Le strategie editoriali dei brand più efficaci, sempre più spesso, sono composte da diversi “livelli” di contenuto. Alla base c’è un livello di contenuto continuativo, quotidiano, basato su stream editoriali ben definiti, che serve a stabilire una relazione nel tempo e a portare avanti una conversazione fatta di tanti piccoli momenti.
A livello intermedio, ci sono dei contenuti meno frequenti, pensati per stimolare una percezione o un’azione specifica da parte di chi vi entra a contatto. Spesso richiedono un maggiore effort creativo e produttivo da parte del brand.
Al livello più alto, ci sono vere e proprie attivazioni editoriali: attività che permettono di sviluppare un contenuto insieme alle persone della community, e che possono avere degli inviti all’azione e alla partecipazione ancora più forti. Questo tipo di attivazioni comprendono reazioni alle conversazioni che si sviluppano in tempo reale, rilevanti per i brand e per le community di riferimento.
Questi livelli, insieme, permettono di creare un valore e un impatto continuativo nella vita delle persone coinvolte, non più attraverso un singolo contenuto ripetuto (come poteva succedere anni fa per gli spot televisivi), e non più solo attraverso una serie di post veicolati attraverso i canali social.
Anche la strategia editoriale non prevede più solo una serie di stream conversazione uguali per tutti, ma piuttosto numerose “diramazioni”: a seconda delle nicchie a cui si rivolge il contenuto, del momento in cui raggiunge le persone, della fase della relazione con il brand che sta vivendo la persona a cui ci rivolgiamo.
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