THANK GOD WE ARE SOCIAL #290

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stefano.cucinotta

Se state leggendo questo articolo, siete vivi. Ed è sabato.


Ho appena iniziato e vi ho già dato due buone notizie, quindi non lamentatevi per il resto. Si parla di morte, o meglio, della morte al tempo dei social network.


Vi do il tempo per toccarvi a dovere e per mettervi comodi: iniziamo con un po’ di cifre.


Tra un’ora, 428 persone su Facebook saranno morte. 


Domani, a quest’ora, saremo 10.273 in meno. Secondo una stima aggiornata a questo aprile, dalla nascita del social network per eccellenza sono morti più di 30 milioni di utenti (alcune stime arrivano a 50M). Utenti che, almeno per un po’, galleggiano in un limbo che Dante non avrebbe potuto immaginare, incastrati nei loro profili terrestri.


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Il che ci porta a due domande gigantesche, quindi fate un respirone: cosa rimane di noi sui nostri canali, e – ben più difficile – cosa dovrebbe rimanere di noi.


Ogni social ha regole precise, che con il tempo si sono fatte parecchio dettagliate. Ad esempio, su Facebook un account può essere disattivato da un familiare diretto (attestato), mentre per Twitter è necessario l’ID dell’utente e il certificato di morte. Google rincara la dose: oltre al parente e al certificato vuole una mail mandata dall’indirizzo del defunto.


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La privacy degli utenti è di solito ben protetta anche dopo la loro dipartita. In generale, nessuno può accedere ai dati sensibili a meno che dimostri di essere un parente oppure ottenga un permesso per vie legali (curiosamente, Pinterest è il più tranchant: il profilo del defunto muore con lui, senza eccezioni). Se vi serve una guida rapida, la trovate qui. Tra cent’anni, eh.


A conti fatti, anche se Facebook smettesse di crescere, si stima che nel 2065 gli utenti morti pareggerebbero quelli vivi, e di lì a qualche anno li supererebbero in quantità. Qualcuno l’ha definita una sorta di necropoli digitale.


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“I social network stanno ridefinendo il modo stesso in cui le persone si addolorano” scrivono Nina Cesare e Jennifer Branstad, due sociologi dell’Università di Washington.“[La morte], dieci, venti anni fa, era molto più privata e vincolata all’interno di una comunità.” I due studiosi hanno passato al setaccio 21 mila necrologi e identificato 39 persone morte con account Twitter, per studiarne le dinamiche di interazione. I due hanno evidenziato che i post su Facebook riguardanti la morte di qualcuno tendono a essere più personali e a coinvolgere direttamente i conoscenti, mentre su Twitter anche gli estranei si lanciano in commenti universali, spaziando in questioni sociali più ampie.


Cosa dovrebbe rimanere di noi? Non è facile pensarci, di sabato mattina, davanti a un caffè fumante. Ma proviamoci insieme.


Ha senso che quello che abbiamo vissuto rimanga in una sorta di vetrina per essere guardato, letto, ripassato dalle persone che ci hanno voluto bene? Forse. In un certo senso è un’evoluzione della cara vecchia lapide: più coinvolgente, più emozionante, più… vivo.


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Come anticipa Elisabeth Kübler-Ross nello studio sull’elaborazione del lutto On Death and Dying (1969), andare avanti, cioè in un certo senso dimenticare qualcosa, è l’ultima fase necessaria per poter superare la morte di una persona cara. Il digitale blocca in un certo senso questo processo: non ci permette di dimenticare. Non c’è una distinzione netta tra ciò che è stato e ciò che è. Sui social network ogni momento è sempre il presente. 

Le nostre pagine  offrono un’immagine persistente di noi, qualcosa che rimarrà come una vivida rappresentazione di quello che siamo stati (o abbiamo mostrato di essere) dopo che il nostro corpo non ci sarà più. C’è qualcosa di più vicino al concetto di anima?

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Facebook ha di recente creato gli Account commemorativi, un’alternativa al cancellare la pagina della persona scomparsa (o a lasciarla galleggiare nell’Internet). Sopra al nome dell’utente leggeremo “In ricordo di”, e sarà possibile visualizzare (con le consuete restrizioni sulla privacy) tutti i contenuti postati in vita, più gli omaggi postumi lasciati da amici e parenti. Facebook assicura: “I profili commemorativi non vengono visualizzati in spazi pubblici come i suggerimenti delle Persone che potresti conoscere, le inserzioni o i promemoria dei compleanni.” La pagina sarà gestita da un “contatto erede”  (che dovrete scegliere quando siete ancora in vita) che potrà accettare nuove amicizie, scrivere un post fissato in alto nel profilo, ma non potrà cancellare nulla dei contenuti condivisi in vita.


Ma seguitemi un passo oltre. Immaginate che tutto quello che avete fatto in vita sia scansionato ed analizzato, e vada a costruire le basi per vostra controparte digitale che, interrogata, risponderebbe proprio come voi. Se non vi suona originale, è perché avete visto questa puntata di Black Mirror. Il punto è che qui si parla di realtà.


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Esiste infatti una discreta scelta di servizi online per “prolungare” la nostra esistenza, per chi rimarrà dopo di noi. Tra i più famosi cito Eter9, piattaforma portoghese ancora in fase Beta. In pratica, una volta registrati, tutto quello che posterete o commenterete online sarà registrato da un bot che giorno dopo giorno evolverà diventando… voi. E vi sopravviverà, portandosi dietro la vostra passione per il calcio e per le battute sconce.


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“Eter9 rende possibile dare una vita eterna all’utente e concedergli l’abilità permanente di interagire di continuo, 24 ore su 24, tramite un elemento chiamato controparte, che si attiverà ogni volta che l’utente è offline, sia postando contenuti che commentando. La controparte sarà anche responsabile per l’eternalizzazione dell’utente.


Anche Eterni.me offre qualcosa di analogo. In fase di registrazione, la piattaforma mi avvisa: sono il 35.130° ad iscrivermi, e nei prossimi mesi mi verrà assegnato un posticino personale (e gratis). In questa “libreria di persone” potremo immagazzinare foto, video, pensieri personali, ad uso e consumo di chi lasceremo su questa terra quando verrà il triste momento. E anche qui, immancabile, ci sarà il nostro avatar sorridente a fare le nostre veci.


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Prima di essere eternalizzati, godiamoci questa fredda mattina con la consapevolezza di essere sopravvissuti almeno al 2016.


La pagina di Wikipedia “Morti del 2016” è stata la più modificata dell’anno (1.372 nomi all’attivo, 18.230 modifiche).


Sulle pagine Obituary della BBC, i “coccodrilli” sono stati 44, 12 in più del 2015 (sono esclusi ovviamente i grandi nomi italiani non censiti dalla BBC), concentrati soprattutto nella prima parte dell’anno.


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Ma è stato dunque un anno così funesto? Nì. E comunque, vi avviso, andrà sempre peggio.


I nostri nonni hanno 80/90 anni, quindi sono stati i primi a conoscere il concetto di “star”, di figura pubblica legata allo spettacolo o alle arti. Il che significa che – al netto dei divi morti giovani – più si andrà avanti più il tristo mietitore falcerà intere generazioni di vips.


Non è che ne muoiano di più, è che ora muoiono anche di vecchiaia, non so se mi spiego.


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Se volete dilettarvi con le scommesse, date un occhio alla top 50 dei candidati salma per il 2017, e fate il vostro gioco su Totomorto.  


E se siete degli irriducibili curiosi e non ce la fate ad aspettare, scoprite la data della vostra morte. La mia sarà di lunedì, ma per fortuna per allora la mia controparte virtuale sarà bell’e pronta.


Spero di non avervi intristito troppo. Forse il caffè è finito, ma guardate che giornata, ragazzi. Spegnete il computer, mettete via il telefono, e andate là fuori a creare qualche bel ricordo.