Se non vuoi parlare con il tuo frigorifero, la persona a fianco a te vuole farlo

Innovazione
Luca Della Dora

No, non è uno scherzo: il 45% delle persone che usa uno smartphone dichiara che parlare col proprio frigorifero sarebbe interessante.

I dispositivi voice si diffonderanno in maniera sempre più rapida nei prossimi mesi, ma già oggi sono molto più presenti nelle nostre vite di quello che potremmo immaginare.



Questo ha a che fare con qualsiasi sfera della nostra vita, ed è una relazione destinata a diventare sempre più forte: la tecnologia è ormai imprescindibile se pensiamo – quasi – a qualsiasi attività che svolgiamo tutti i giorni, dalla più semplice alla più complessa.


 

Basti pensare a cosa facciamo appena ci svegliamo, a come impieghiamo il tempo mentre andiamo al lavoro, a tutti gli strumenti che usiamo durante una qualsiasi giornata e a quante azioni vengono ormai delegate a strumenti che fino a pochi anni fa non avevamo a disposizione.



La tecnologia deve semplificare la nostra vita e – per le aziende – aprire opportunità di business: se questo non si verifica, non ha senso parlare di innovazione.



Così Steve Jobs ha presentato al mondo il primo iPhone (succedeva nel 2007, ma sembrano passate ere geologiche).

Oggi, anche grazie a Apple, Samsung e tutte le aziende che hanno continuato a far evolvere prodotti di questo tipo, più di 3.5 miliardi di persone si connettono a internet da dispositivi mobile, avendo accesso – potenzialmente – a qualsiasi informazione e contenuto desiderino.

Pochi anni prima, Zuckerberg aveva creato Facebook. Quello che sembrava un giochino per universitari in cerca di un appuntamento è diventato un altro strumento che ha cambiato per sempre le nostre vite. Facebook ha avuto un impatto enorme non soltanto nel modo in cui comunichiamo, ci informiamo o passiamo il tempo libero: Facebook ha creato una nuova industry fatta di piattaforme e di strumenti a disposizione di chiunque, praticamente in qualsiasi ambito della nostra vita.

Smartphone e social media sono imprescindibili l’uno per l’altro, e sono diventati imprescindibili anche per noi, quasi senza che ce ne accorgessimo.

Airbnb, Uber, Amazon, Spotify, Netflix e altre decine di servizi sono nati ed esplosi perché hanno saputo leggere il contesto e creare qualcosa di innovativo, facilitando veramente le nostre vite e risolvendo alcuni problemi (che a volte non sapevamo neppure di dover – o potere – affrontare).

Tutto questo è successo con una velocità impressionante, soprattutto se paragonato al modo in cui succedeva nel passato. In soli 5 anni Spotify ha incrementato il numero dei suoi abbonati (a pagamento) da 3 a 70 milioni di utenti, Airbnb ha incrementato il numero di persone che lo usano ogni anno da 3 a +100 milioni e Netflix ha superato tutti i TV-provider a pagamento in termini di abbonamenti




La saturazione dei messaggi a cui siamo sottoposti ogni giorno sta portando a un naturale spostamento verso tutto ciò che ha a che fare con la voce, sia in input, sia in output.

Come per i social media, anche i dispositivi voice vengono usati ogni giorno da chiunque di noi senza farci neppure più caso: Siri e Google Assistant si trovano all’interno di tutti i telefoni che tutti abbiamo in tasca, i navigatori della maggior parte delle auto funzionano ormai a input vocale, e via così.

Il mercato degli smart speaker è in una fase di crescita continua e sono sempre più numerose le aziende – di tutte le dimensioni – che stanno investendo in quest’area (basta dare un’occhiata alle skill disponibili per Amazon Alexa (più di 40.000 a febbraio, con un incremento di più di 5.000 nuove skill ogni 100 giornivoicebot.ai).



Si tratta di un mercato che varrà più di 600 milioni di dollari nel 2019 e gli acquisti attraverso input vocali supereranno i 40 miliardi di dollari nel 2022 (Voice Commerce Next Major Disruptive Force in Retail, OC & Strategy Consultants Study).

È molto più corretto parlare di un fenomeno che ha a che vedere con il presente, più che con il futuro.


Ci sono voluti 20 anni perché internet diventasse un fenomeno di massa, 7 anni è il tempo che ci hanno messo gli smartphone per essere usati da più del 50% delle persone: le tecnologie voice hanno raggiunto questa penetrazione in soli 5 anni.



Limitando il discorso ai soli smart speaker, oggi sono presenti in una casa su dieci in UK (e nel 13% delle abitazioni USA), ma nel 2022 la penetrazione sfiorerà il 50% nel Regno Unito (e il 55% negli USA – Digital Voice Assistants, Platforms, Revenues Opportunities, 2017-2022, Juniper Research).



Quello che sarà interessante capire è in che modo questi strumenti diventeranno sempre più invisibili, che tipo di problemi riusciranno a risolvere e quanto ci vorrà perché si integrino in modo naturale in ecosistemi complessi (lo scoglio più grande, quasi sempre per le nuove tecnologie, è stabilire uno standard che permetta di creare delle esperienze “seamless” per le persone).

Quello che appare già chiaro oggi è la loro efficienza in termini di utilizzo, come testimoniano le motivazioni che spingono le persone ad usarli: il 52% degli utilizzatori dice che è più comodo usarli rispetto a strumenti più tradizionali, il 48% li preferisce perché non richiedono di digitare testo e il 46% perché sono semplici da usare.

Questo ha ovviamente anche un effetto sul nostro cervello: l’attività cerebrale è decisamente minore rispetto all’equivalente misurata usando strumenti “tattili”.



Moltissimi brand stanno già investendo su questi dispositivi, sperimentando le opportunità che offrono e cercando di capire come renderli uno strumento di relazione con i propri consumatori – e con quelli potenziali.

Una delle maggiori difficoltà è legata al fatto che le aziende sono sempre state abituate a poter puntare su interfacce che “guidassero” l’utente nella loro esperienza, piattaforme che permettevano di comunicare la propria identità, il proprio tono di voce, il proprio modo di “parlare” alle persone. Oggi che si trovano nella condizione di parlarci veramente devono capire come farlo, potendo contare sulla voce messa a disposizione dagli smart speaker.

L’altro punto cruciale ha a che vedere con l’utilità: la voce è un medium più intimo e gli smart speaker – per loro natura – sono strumenti che “invadono” in tutti i sensi le nostre vite. Sono al centro del nostro salotto, o in cucina, e sono sempre in ascolto e pronti a rispondere: questo, da una parte, permette loro di reagire in tempo reale a qualsiasi richiesta, dall’altra li rende super personali agli occhi/orecchie di chi li possiede.



Vedere questo spazio “invaso” da un brand risulterebbe una violazione alla propria sfera personale, proprio come se ci bussassero alla porta di casa per consegnarci dei volantini mentre stiamo guardando la tv.

Per questo è fondamentale che i brand capiscano come possono risultare utili per le persone, offrendo un’esperienza che non potrebbe essere garantita da dispositivi diversi. Sarà quindi sempre più importante essere capaci di ragionare dimenticando linguaggi e strumenti sui cui si era abituati a progettare e partire da zero: adattare qualcosa a un medium diverso non farà altro che creare esperienze ridondanti e meno efficaci (a meno che, appunto, la voce non costituisca il mezzo migliore per quell’esperienza).

Un altro fattore fondamentale è il tempo: proprio perché gli smart speaker saranno sempre più parte delle nostre abitazioni (ma anche delle nostre auto, ad esempio) sarà fondamentale – per i brand – capire quando le persone li stanno usando, e legare l’esperienza al momento di utilizzo, rendendo la loro vita più semplice… anche solo per ordinare una pizza.



Disclosure: Domino’s Pizza è cliente We Are Social.