Thank God We Are Social #410
- Un robot non può recare danno agli esseri umani, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, gli esseri umani ricevano danno.
- Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani tranne nel caso che tali ordini contrastino con la Prima Legge.
- Un robot deve salvaguardare la propria esistenza, purché ciò non contrasti con la Prima e la Seconda Legge.
Ok, forse sto un po’ esagerando, non stiamo per essere conquistati dai robot ma da più di tre anni ha cominciato a diffondersi il nome “virtual influencer“, concetto che designa personaggi social che non hanno caratteristiche umane ma che sono particolarmente efficienti nel mondo dell’influencer marketing.
Si tratta di creature digitali, robot e androidi che hanno trovato un grande riscontro tra gli utenti di tutto il mondo e rappresentano un grande potenziale per le aziende all’interno di settori come, ad esempio, il fashion di lusso ma non solo.
L’ultimo esempio è proprio quello di KFC che ha voluto dare nuova vita al
colonnello Sanders in un take over che mostra chiaramente come il ricorso ai virtual influencer sia diventato un elemento importante della comunicazione del brand.
Di veramente nuovo nell’operazione di KFC c’è l’aver creato da zero un influencer virtuale e non aver fatto ricorso a una delle tante cyber celebrità. In questa prospettiva, il colonnello Sanders e il live-streaming delle sue giornate possono sembrare più un contenuto di brand ma in un futuro prossimo potrebbe diventare un influencer a tutti gli effetti collaborando con altri brand.
Quello di KFC è solo l’ultimo dei tanti esempi di utilizzo dei virtual influencer, se facciamo un passo indietro possiamo subito notare come i brand di moda siano stati tra i primi a portare questo nuovo approccio.
L’androide più conosciuto nell’odierno panorama virtuale è infatti un robot giapponese di nome Erica, 23 anni. Gucci l’ha scelta come volto per una delle sue campagne marketing destinate al mercato cinese.
Il robot è stato creato con l’ausilio dell’intelligenza artificiale da Hiroshi Ishiguro, direttore dell’Intelligent Robotics Laboratory di Osaka.
Erica può parlare grazie a un sintetizzatore vocale e riesce anche a utilizzare alcune espressioni facciali. Vestita con un outfit in stile Gucci, Erica è divenuta ben presto uno dei virtual influencer più amati e popolari.
Insieme a Ishiguro e al suo clone umanoide, Erica ha partecipato alla campagna di Gucci su WeChat dal titolo “Why are you scared of me?” lo scorso luglio permettendo al brand di diventare il primo ad aver avviato una campagna “virtuale” in Cina.
Tornando invece in Occidente tra i primi esempi di virtual influencer troviamoLil Miquela, modella e fashion icon metà spagnola e metà brasiliana, creata nel 2016 dagli artisti Trevor McFedries e Sara Decou.
Il suo profilo Instagram ha raggiunto ormai più di 1,5 milioni di follower, ed è stata il volto di alcune campagne promozionali lanciate da dai più importanti brand di lusso tra cui Chanel, Prada e Moncler.
Assieme a lei troviamo anche numerosi altri esempi di influencer virtuali:
Shudu, la prima top model digitale ad essere salita sul palco dei BFTA,
Noonoouri, creata da Joerg Zuber, direttore creativo dell’agenzia di branding e design Opium, all’interno del progetto “digital haute couture”
e Bermuda, antagonista di Miquela, una tipica bionda californiana, politicamente scorretta e sostenitrice di Donald Trump, ma deve la sua popolarità proprio all’hackeraggio del profilo della collega più famosa.
Ma la novità più curiosa in materia di virtual influencer è rappresentata dal social media Zepeto: un’applicazione nata in Corea del Sud che permette ai suoi utenti di creare un avatar 3D di se stessi. Chiunque, di conseguenza, può trasformarsi in un virtual influencer. Gli utenti possono modificare l’outfit del proprio avatar liberamente, con trucchi e acconciature particolari. Il potenziale di questa app è altissimo visto che si basa sul concetto di “user-generated content”, dando ai propri utente la possibilità di ricreare la propria identità digitale.
La strada degli influencer virtuali può quindi rappresentare certamente una novità e una scelta interessante per i brand per veicolare i propri messaggi ma resta il dubbio sulla componente di immedesimazione, di somiglianza di gusti e abitudini che spinge gli utenti a seguire e fidarsi di un influencer.
In questo senso forse, anche per la natura stessa e dichiaratamente artificiale dei virtual influencer, allo stato attuale è molto più semplice provare empatia e quindi fidarsi di una persona in carne ed ossa.
Ma chi può dirlo? Forse anche i robot potranno avere delle emozioni.