WTFuture Brand Urbanism: dalla fiducia alla collaborazione

Eventi
Luca Della Dora

Perché, oggi più che mai, è necessario che le città diventino luoghi sostenibili e in grado di garantire l’accesso a beni e servizi a tutti, in modo equo? Come possono i brand contribuire affinché ciò avvenga? Siamo partiti da queste domande – sposando il tema centrale della quarta edizione della MilanoDigitalWeek – per sviluppare il decimo episodio di WTFuture.


Nelle scorse edizioni ci siamo spesso focalizzati sull’importanza dell’impatto che i brand hanno oggi nella società: ci troviamo in un momento storico in cui c’è crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni e nei governi, e in cui le nostre scelte sono spesso guidate dalla volontà di trovare nuovi riferimenti in grado di rispecchiare i nostri valori. Questi riferimenti sono sempre più spesso quei brand che dimostrano di prendere una posizione e di agire concretamente.

Per capire un po’ meglio quale può essere il contributo dei brand in questo contesto siamo partiti dal concetto di fiducia, quella fiducia che – come detto – viene sempre meno nei confronti di alcune istituzioni. 

COSA POSSONO FARE QUINDI I BRAND PER RISPONDERE EFFICACEMENTE A QUESTE ASPETTTIVE, E COME POSSONO FAR SÌ CHE LA FIDUCIA NEI LORO CONFRONTI AUMENTI?

Innanzitutto è fondamentale che alle dichiarazioni relative a tematiche sociali importanti corrispondano poi delle azioni concrete. Più di un consumatore su due dichiara poi che ogni brand dovrebbe impegnarsi in ambiti non afferenti al loro business, dimostrando così un interesse reale e non soltanto guidato dal proprio business.

Il concetto di brand activism risponde proprio a questo, cioè al modo in cui i brand decidono di sposare tematiche sociali importanti, prendere una posizione e agire.

E quale luogo – fisico o digitale – è più adatto a dimostrare concretamente questo impegno? Chiaramente la città, quel tessuto urbano che negli ultimi 12 mesi è stato al centro di una serie di trasformazioni causate dalle misure di contenimento della pandemia.

Perché, se è vero che le città erano anche prima i luoghi in cui comunicare da vicino con le persone, oggi la necessità di intervenire in questo contesto è ancora più centrale: le città sono a tutti gli effetti “work in progress” per adattarsi a nuovi comportamenti e nuove esigenze.

Brand Activism + Dimensione Urbana danno quindi vita a un concetto – definito da JCDecauxBRAND URBANISM, ovvero una collaborazione attiva tra brand e istituzioni, in cui i brand creano iniziative o lavorano su progetti utili per le comunità locali, ottenendo in cambio visibilità e rinforzando il loro posizionamento – facendo leva su quei valori condivisi di cui parlavamo poco fa.


Esistono diversi livelli di Brand Urbanism, che – semplificando molto – potrebbero essere così riassunti:

LIGHT: quando il brand lavora su operazioni a tempo limitato, degli interventi temporanei che hanno un effetto immediato sulla città, ma circoscritti nel tempo.




Clear Channel, a Stoccolma, ha utilizzato gli spazi pubblicitari tradizionali per fornire agli homeless le indicazioni per raggiungere i più vicini punti di ristoro e alloggi che li potessero ospitare.







MID: in questo caso il brand collabora attivamente con le istituzioni, agendo su progetti con un orizzonte temporale più lungo, e che abbiano un impatto duraturo sulle comunità locali.



Domino’s Pizza, negli USA, ha collaborato con le istituzioni locali per sistemare i manti stradali danneggiati, rispondendo alle segnalazioni degli utenti e lavorando a favore delle comunità locali.




In occasione del Pride, Netflix ha lanciato una campagna che prevedeva – tra le altre cose – la trasformazione della fermata della metropolitana di Porta Venezia, a Milano, a sostegno dei diritti della comunità LGBTQI. Il successo dell’iniziativa ha spinto l’amministrazione locale a rendere permanente la nuova veste della fermata.







HARD: si tratta delle operazioni più complesse e impegnative, in cui il brand decide di intraprendere un progetto a lungo termine, collaborando con istituzioni e cittadinanza, con l’obiettivo di creare qualcosa che poi resti nelle mani dei cittadini e abbia un impatto positivo a lungo termine.




Volvo, a Sidney, ha costruito una struttura in grado di favorire il ripopolamento di organismi marini – come i coralli – con l’obiettivo di favorire la biodiversità e di migliorare la qualità dell’habitat marino.







Ed è così che abbiamo voluto raccontare la nostra visione sul concetto di brand urbanism, cercando di mettere in luce in che modo i brand possano avere un impatto positivo e concreto sulle nostre vite. 




Abbiamo avuto poi la possibilità di approfondire questa tematica insieme a tre ospiti che ci hanno dato il loro punto di vista, affrontando la questione da angolazioni molto diverse.




Per primo è intervenuto Luca Martinazzoli, Direttore Generale di Milano & Partners, che ci ha spiegato come non solo sia fondamentale la collaborazione tra brand e istituzioni locali, ma soprattutto come le città debbano essere in grado di essere loro stesse veri e propri brand: i vantaggi sono innumerevoli e molto simili a quelli che un brand “tradizionale” riesce a ottenere quando guadagna visibilità e credibilità (basti pensare a quanto più attrattiva possa diventare una città che si sa comunicare correttamente e che sa rispondere ai bisogni dei cittadini dimostrandosi attenta alle necessità dei cittadini).







Dall’altra parte Luca ci ha spiegato come le città abbiano bisogno dei brand, e di lavorare in ottica di collaborazione con loro: i brand devono essere capaci di dialogare con le istituzioni, lavorando insieme e in modo coordinato, dimostrando così ai cittadini che non si tratta di “semplici” operazioni di business, ma di un reale interesse nello sviluppo del tessuto urbano.




Abbiamo poi avuto il piacere di ascoltare dalle parole di Federico Rossetti – City Manager Milano di Too Good To Go – come un grosso problema, come quello relativo allo spreco alimentare, possa diventare un’opportunità tanto per le aziende, quanto per i cittadini, se c’è la volontà da parte di tutti di sposare una causa. 





Da qui puoi scaricare l’app per iOS, mentre da qui per Android



Too Good To Go è un servizio – sotto forma di app – che mette in contatto esercenti e consumatori: l’utente accede alla piattaforma, sceglie il ristorante (o il negozio, il supermercato, etc.) e prenota la sua box, che poi andrà a ritirare in loco. Le box contengono prodotti selezionati dall’esercente, che sarebbero andati buttati, perché avanzati, e vengono venduti a un prezzo decisamente minore rispetto a quello standard.




Si tratta di un servizio che porta vantaggi tanto alle persone (che pagano di meno dei prodotti di qualità), quanto agli esercenti (che non devono buttare i prodotti avanzati, e possono anzi trarne un ricavo), e alla società in generale (grazie, appunto, a una maggiore efficienza nella gestione del cibo – che non andrà sprecato). La naturale evoluzione di Too Good To Go prevede il coinvolgimento di aziende di dimensioni maggiori, che potranno sposare la causa, riducendo così quegli sprechi che – purtroppo – sono la norma per moltissime aziende, e che diventa sempre più cruciale ridurre.




Abbiamo poi chiuso questa decima edizione di WTFuture in compagnia di Paola TonettiAccount Director di We Are Social – e Lara GilmorePresidente di Food For Soul. Il progetto culturale si pone l’obiettivo di incoraggiare un sistema alimentare più sostenibile, salutare e più inclusivo per tutti; attraverso una rete di refettori territoriali, vengono infatti preparati pasti sostanziosi a partire da surplus alimentari che altrimenti andrebbero sprecati, per persone che vivono situazioni di isolamento e fragilità sociale. 





Qui potete scoprire tutti i dettagli su quello che fa Food For Soul, mentre seguendo questo link potete effettuare una donazione, o partecipare attivamente alle loro iniziative.




Lara ha raccontato come la presa di consapevolezza su determinate tematiche abbia subito una forte accelerazione “grazie” alla pandemia, e come ormai la divisione tra “profit” e “no profit” sia sempre più liquida: le aziende possono trarre ispirazione dalle Onlus, e viceversa, per impattare sulle città (e sui quartieri) in modo più incisivo. Su una realtà che è poi la stessa in cui tutti si ritrovano a vivere: persone, brand ed istituzioni







Questo è un breve riassunto dell’evento, ma – se volete vedere l’evento – potete farlo guardando il video integrale di questa edizione di WTFuture: