I creator sono ormai a tutti gli effetti un touchpoint imprescindibile per qualunque campagna integrata. Ma attivarli non significa farlo bene o con profitto.

Diverse campagne e interventi a Cannes hanno sottolineato come un’alleanza autentica (e di lungo periodo) possa generare risultati ben oltre le aspettative.

Lo hanno dimostrato campagne come “Retroinfluencers” di SKOL che ha trasformato in post sponsorizzati tutti gli endorsement spontanei di persone qualunque che avessero postato foto del brand in passato, o “Tracking Bad Bunny” che ha ingaggiato la fandom dell’artista portoricano invitandola a una caccia al tesoro su Google Maps per scoprire allo stesso tempo la bellezza dell’isola di Porto Rico e la tracklist del nuovo di disco, o Burger King the ha ancora una volta hackerato FIFA sfruttando in una maniera laterale il fatto che per la prima volta nella storia del gioco – grazie all’AI – tutti i nomi dei giocatori fossero pronunciati dai cronisti per invitare la community dei videogiocatori (e gli streamer con cui interagiscono quotidianamente) a segnare in game con giocatori che si chiamassero King su assist di giocatori che si chiamassero Burger (o Berger).

Anche in questo caso quello che ha fatto – e plausibilmente continuerà a fare la differenza – è la trasformazione di relazioni tra creator e audience in momenti di creazione (collaborativa) di intrattenimento.