La prima regola dei social media
La prima regola dei social media? Le regole (da sole) non servono. Per capire il motivo partiamo dagli USA.
Una caratteristica dei brand statunitensi che mi colpisce sempre è l’attenzione e la precisione con cui regolamentano i momenti di interazione con i propri clienti. È facile intuire quanto sia indispensabile in un paese con così grandi contrasti culturali e così vasto: lasciare al caso un aspetto della relazione può creare enormi problemi. Ecco perché, quando visitate Starbucks a San Francisco vivrete lo stesso tipo di accoglienza che potete avere a Chicago o a Londra. Ecco perché nei parchi a tema Disney potete osservare, a Parigi come a Los Angeles, lo stesso tipo di gestualità, di interazioni e di espressioni nel personale. Sono elementi che aiutano a creare uniformità tra le varie esperienze che le persone hanno rispetto alla marca. Ecco come Peter Kim descrive questa situazione di “Global neighborhood”:
Destinations have changed. The proliferation of global brands make this difference ironically apparent, making foreign cities both comfortingly familiar and unfortunately similar. Almost everywhere you go, you can have a Coke or Starbucks coffee, buy an Apple product, or get outfitted in Nike gear. Whether this is good or bad depends on your personal preferences.
Questa attenzione per la regolamentazione non sempre è sufficiente a rendere efficace o piacevole un’interazione, leggete ad esempio questa recente esperienza di Chris Brogan, da Payless: l’interazione si è svolta come regolamentato, ma è stata molto lontana dall’essere soddisfacente.
At Payless, we had a bored employee traipse past us, pretend to ask if we needed help, and then mumble that every shoe in the store is “buy one, get one half off.” We picked out the single pair of shoes we wanted for our efforts, brought them down to the register, where the same employee ignored us for a minute or so before telling us, “I’ll have to get the manager. I can’t ring on these registers.” So, we waited for the manager.
The manager arrived and said, “You know, every shoe in the store is buy one, get the next pair half off.” I said, “Thanks, I’m all good with this pair.” She proceeds to sigh, as if I’m the stupidest buyer in the world and how could I possibly pass up the chance to get another pair of shoes at half off. Then, she slowly (laboriously slowly) scans in my order, and finishes by asking me for four pennies so she can give me back a nickel, as she’s out of pennies in her drawer.
Avere un copione non rende automaticamente le persone appassionate e coinvolte: leggere una parte, recitare delle azioni è controproducente se manca una condivisione di valori e una partecipazione.
Questo tipo di situazioni si verificano anche in Italia, non solo nei punti vendita fisici, ma ogni giorno, continuamente sui social media. Pensateci: il social web è il luogo in cui avvengono più scambi continui e relazioni tra persone e marche, ma queste relazioni avvengono grazie alla mediazione di community manager, cioè altre persone che, come avviene per i dipendenti sul punto vendita, rappresentano (anche solo in parte) la marca.
Per questo motivo avere delle regole di risposta è importante ma non è assolutamente sufficiente se si vuole sviluppare una relazione efficace sul social web con i consumatori. Le “social media guidelines” proprio per questo motivo servono a definire non solo il modo in cui si esprimono i community manager, ma soprattutto i valori e la missione della marca. Se un community manager conosce la missione della marca, la condivide e vi partecipa avrà molte più possibilità di creare un rapporto efficace con i consumatori rispetto a un community manager che impara a memoria delle risposte e le applica.
Le linee guida per definire le regole di interazione sul social web sono fondamentali e si possono sviluppare in step semplici:
- Individuare i valori: qual è la missione della marca e come si traduce sul social web?
- Individuare le modalità espressive: quali sono le regole pratiche con cui si esprime la marca? Quali sono i temi più rilevanti e generalmente come vengono trattati?
- Definire un’esperienza coerente: il modo in cui si esprime il brand sui social media è affine a ciò che avviene su altri canali (anche fisici, come il punto vendita)?
- Assicurarsi la partecipazione: i community manager che lavorano al progetto conoscono la missione e i valori della marca? Organizzare sessioni di training è sempre molto utile in questo senso;
- Misurare e adattare: il modo di esprimersi è conforme alle aspettative? Le reazioni dei consumatori sono positive? Quali sono le aree di miglioramento? Adattare in corsa le modalità di conversazione è estremamente utile;
In sintesi, sia per community manager interni, esterni o misti, è fondamentale definire delle regole, ma è ancora più rilevante condividere i valori alla base di queste regole. Solo così le marche possono creare esperienze efficaci appassionate e coerenti sul social web. Solo così potranno nascere esperienze “alla Disney”, “alla Zappos” o “alla Starbucks” e non scambi sterili e con poco valore aggiunto.
Secondo voi quali marche condividono in modo efficace i propri valori e la propria missione con i community manager? Quali vi sembrano più notevoli sui social media a livello internazionale? I commenti sono a vostra disposizione.
Se volete costruire una modalità di interazione sul social web efficace per la vostra marca o fare una riflessione sul modo in cui avvengono le interazioni oggi per il vostro brand, scriveteci un’email.
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Foto da instagram.