Parlare con le persone, non alle persone
Campaign Magazine ha pubblicato recentemente un supplemento speciale sui Social Media e mi hanno chiesto di contribuire con un articolo. Questo post racconta perché crediamo che i marketer si sbaglino a inseguire l’incremento del numero di fan con qualsiasi mezzo, offre un approfondimento sul tema della misurazione, analizza il valore dell’engagement e della “social idea” nel nostro processo creativo e mette in luce un approccio alla creazione di contenuto. Ci hanno consentito di riportarlo completamente qui, spero vi piaccia.
Poche settimane fa a Mosca, ho partecipato a un dibattito durante un panel nella conferenza di digital marketing più importante in Russia. Tra i temi più discussi c’era lo scandalo che è nato quando si è scoperto che alcuni brand avevano acquistato fan finti su Vkontakte, il principale social network russo. Pare che sia stata una pratica diffusa per i marketer russi, che hanno chiesto alle agenzie di raggiungere i propri obiettivi, con qualsiasi mezzo, senza farsi troppe domande.
Certo, questo non succede qui, vero? Probabilmente chi si occupa di marketing nel nostro paese non si spinge così oltre da acquistare fan finti, ma è ancora abbastanza comune la ricerca esasperata del numero di fan, senza riferimento a un obiettivo di marketing di business e “l’acquisizione” dei fan attraverso promozioni tattiche o attraverso un investimento in “media” a costo per azione o a costo per click.
L’aspetto più preoccupante è che, una volta acquisiti questi fan, i responsabili marketing li sottopongono a campagne autoreferenziali, come se la community costruita fosse il pubblico di una soap opera anni cinquanta.
Non è colpa delle persone che si occupano di marketing. Confusi dai vari canali social, alcuni sembrano orientarsi verso ciò che conoscono: i numeri dei canali tradizionali o l’acquisto di una idea di campagna da una agenzia tradizionale (o “tradigital”).
“The CMO Survey” prevede che l’investimento in social media si sposterà dal 7,5% al 20% dei budget di marketing nei prossimi tre anni. È chiaro quindi che questa situazione deve cambiare o vedremo sempre più investimenti gettati al vento.
Partiamo dal “mito” del numero dei fan Facebook come misura di una audience. Questo valore non ha senso, se considerato fuori contesto. Facebook ha ricordato recentemente a chi si occupa di marketing che solo il 16% dei fan vedono un update di una pagina. Essere fan non significa necessariamente vedere tutte le comunicazioni che provengono da una specifica pagina.
È molto più utile misurare il reach reale (quante persone sono state esposte al contenuto del brand o riguardo il brand), la frequenza (quante volte in media ognuna di queste persone è stata esposta al contenuto), il livello di engagement (il numero di persone che regiscono al contenuto) e il numero di volte che le persone reagiscono, in media.
Il concetto di “engagement” è molto utilizzato e in alcuni casi abusato ma, in questo contesto, è misurabile. Anzi, è un indicatore chiave del vero valore dei social media.
Sì, i social media sono ormai uno dei “mass media”, e possono consentire un reach e una frequenza significativi. Ma ciò distingue i social media in modo significativo è che questi canali consentono di coinvolgere numerosissimi clienti e potenziali clienti, stimolando l’advocacy e il passaparola sia online che offline.
Per come funziona l’algoritmo Facebook EdgeRank (che determina quali post appaiono nei news feed dei fan) il livello di engagement influenza il reach e la frequenza. In base alla nostra esperienza, è possibile dire che una marca che sviluppa un engagement efficace con la propria community può raggiungere fino al 100% dei propri fan e un numero notevole dei loro amici, attraverso l’endorsement (che è il tipo di advocacy che vogliamo stimolare).
Quindi, cosa influenza il livello di engagement? Dimenticate tutto ciò che avete imparato dall’advertising. La tradizionale “big idea” non funziona sui social media. Le conversazioni in tempo reale e continue hanno la meglio sulle produzioni pubblicitarie vecchio stile, spesso irrilevanti. Dobbiamo spostare il focus dalla “big idea” alla “social idea”.
È necessario un approccio mentale e creativo totalmente diverso: iniziare a comportarsi meno come un “broadcaster” e più come un facilitatore. Il contenuto presentato al momento giusto nel contesto di una relazione continua è l’estensione naturale della conversazione che genera coinvolgimento e si evolve continuamente attraverso la community: che si tratti di attivare un confronto, reagire o semplicemente prenderne parte. Parlare con le persone, non alle persone. Questo è ciò che facciamo.
Studiamo ogni community nel minimo dettaglio. Questo significa che attiviamo una ricerca intensiva, ascoltiamo attentamente le conversazioni che le persone sviluppano sul settore e sui brand con cui lavoriamo, le domande che si pongono e il mondo in cui vivono. Raccogliamo questi insight utilizzando strumenti di ricerca quantitativa specializzati. Questo ci aiuta a decidere quali siano le conversazioni con una priorità maggiore e come possiamo migliorarle, aggiungendo valore.
L’approccio quantitativo non basta e deve essere integrato dagli insight dettagliati e qualitativi che derivano dal coinvolgimento quotidiano nelle community, dalle conversazioni con chi ne fa parte, specialmente coloro che hanno capacità di influenza maggiore. Serve esperienza e professionalità per sintonizzarsi con il gusto, gli interessi, le abitudini, i comportamenti e i riti della community, per essere pronti a produrre contenuto coinvolgente in base alle esigenze delle persone.
Applichiamo questo livello di studio e ricerca al nostro processo creativo in modo continuativo – un approccio collaborativo che ha un impatto importante sulla conoscenza, l’esperienza e la creatività di tutte le persone nel nostro team. Questo consente la creazione di idee social che, oltre a essere pensate in modo specifico per gli obiettivi di business e comunicazione, si integrano perfettamente nel comportamento social del target, stimolando le persone all’interazione e alla condivisione.
Continuiamo ad ascoltare, rispondere e creare, producendo contenuto specifico che si diffonde nella community in modo autentico, trasparente, credibile, stimolando il coinvolgimento tra marche e persone. In pratica, questo approccio trasforma i brand in eccezionali conversatori, di quelli interessati e interessanti. Quelli con cui le persone vogliono avere a che fare.
Questo richiede tempo, impegno, un importantissimo livello di conoscenza specialistica e di esperienza. Anche per questo riconosciamo che per molte persone che si occupano di marketing può essere difficile ripensare ciò che credono di conoscere, soprattutto riguardo le “idee” creative.
Sappiamo che il nostro approccio funziona: secondo il Facebook Engagement Index di iProspect, gestiamo due tra le tre community col più alto engagement nel Regno Unito.
Come dice Angus Wood di iProspect: “È facile ‘comprare’ fan con competizioni di breve termine e ‘esche’, ma se quegli utenti non tornano mai e non interagiscono mai col contenuto della marca, non è un investimento efficiente”.
Non avrei potuto dirlo meglio.