Come costruire un ecosistema sui social media

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Quando Arthur Tansley ha immaginato la definizione di ecosistema non era ancora stato pubblicato l’ultimo report Technorati sulla digital influence, Twitter non esisteva ancora e Facebook non era il primo social network al mondo. Secondo Wikipedia:

Ogni ecosistema è costituito da una comunità di organismi ed elementi non viventi con il quale si vengono a creare delle interazioni reciproche in equilibrio dinamico.

Gli ecosistemi hanno diverse caratteristiche distintive, tra cui:

Nonostante Tansley abbia formulato la definizione nel 1935, ha descritto molto bene la direzione verso cui le marche e le loro community si stanno evolvendo oggi.

Il “2013 Digital Influence Report” pubblicato recentemente da Technorati, lo dimostra:

Per i brand, è molto frequente la presenza contemporanea su canali social vari: ma il valore reale di questa differenziazione nasce quando i canali sono integrati in un’unica strategia di conversazione. Essere presenti su numerosi canali è un modo per integrarsi con le abitudini nelle persone che fanno parte delle community, non un semplice “moltiplicatore” del messaggio in ottica “broadcast”. In altre parole: essere su molti canali è utile a stimolare la conversazione in modalità diverse a seconda del momento e delle esigenze delle persone, ma una strategia inutile o addirittura aggressiva e dannosa se si limita a riproporre lo stesso messaggio sui canali differenti, senza alcun tipo di adattamento.

Pensare in ottica di “ecosistema” significa, per le marche, essere “utili e interessanti”: avere un messaggio di comunicazione coinvolgente, divertente, commovente è importante, ma non è più abbastanza.

I brand che riescono a essere “utili” riescono a diventare davvero “rilevanti” e “notevoli” per le proprie community. È proprio questa utilità che permette di attivare i quattro elementi che permettono a una conversazione di diffondersi: raggiungere un reach elevato è possibile se il messaggio non è solo affine alla community, ma se genera una “risonanza” con i valori di chi ne fruisce. È questa l’unica via per essere rilevanti e sviluppare un reach organico efficace.

Anatomia di una conversazione: come si diffonde?

Essere utili non significa sempre, necessariamente, creare un servizio insieme alla community, ma creare un valore che va oltre la semplice ricezione di un messaggio, ripetuto e identico a se stesso. Le marche lo hanno capito e misurano il successo delle proprie attività in modo sempre più “multicanale”. Non solo: quando i brand considerano il coinvolgimento di persone con un elevato livello di influence rispetto alle proprie community, tengono in considerazione parametri vari e coordinati tra loro (non solo i “like” di Facebook o i “follower” di Twitter).

Per questo motivo, in We Are Social, quando analizziamo il livello di social influence teniamo in considerazione vari parametri: alcuni legati al reach, altri al livello di engagement e alcuni legati alla visibilità. Bilanciare questi parametri ci consente di elaborare calcolare il livello di “REV” (reach, engagement, visbility) e di capire chi ha più senso coinvolgere in un’attività specifica.

L’aspetto di “utilità” di un ecosistema si rileva anche nelle motivazioni per cui le persone seguono le marche sui social media: rimanere aggiornato, scoprire il prodotto o il servizio e contribuire in modo utile sono tra le ragioni più forti nel legame quotidiano tra i brand e le loro community.

Tansley non avrebbe mai pensato a questo utilizzo della sua definizione di ecosistema, ma è proprio l’equilibrio tra utilità e interesse alla base di ogni ecosistema che nasce e si sviluppa sui social media.