Pochi ma buoni: condividere in privato

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Il modo in cui le persone comunicano sui social media è in continuo cambiamento. Ogni giorno aumenta il numero di persone che utilizzano i canali social e, di conseguenza, incrementa il numero di connessioni che ognuno ha con brand e amici.

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Il fenomeno riguarda tutte le fasce demografiche ed è più evidente sui canali più frequentati (come Facebook), visualizzando il numero di utenti attivi mensili.

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Questa crescita comporta due conseguenze: da una parte un aumento delle interazioni con la propria sfera “pubblica” (il proprio social graph in senso più allargato), dall’altra un’esigenza di creare occasioni e luoghi di interazione con i gruppi più stretti di amici e connessioni.

La logica di formazione di questi gruppi può dipendere da molti fattori: tra questi ci sono sicuramente la vicinanza dal punto di vista relazionale o geografico, gli interessi comuni e le attività condivise.

Tra i primi a offrire gli strumenti utili all’esigenza di condividere privatamente va citato Facebook, con i gruppi, poi i messaggi diretti condivisi. Facebook ha anche introdotto la propria applicazione mobile Facebook Messenger, per gestire questo tipo di interazioni one-to-one o con gruppi.

Google+ ha il merito di aver lanciato le cerchie, proprio con l’obiettivo di favorire lo sviluppo di piccoli gruppi di interesse anche all’interno di grandi gruppi.

Path ha da sempre preferito categoricamente la condivisione tra pochi amici, limitando il numero di connessioni a 150 per persona e proponendo soluzioni che favoriscono l’interazione con il gruppo di persone più stretto e vicino all’utente. Pochi giorni fa ha introdotto le due nuove funzioni con l’esplicito nome di “inner circle” e “private sharing”.

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Parallelamente alla crescita e alla diffusione di funzionalità di condivisione privata nel principali social network, assistiamo a un fenomeno che raggiunge lo stesso obiettivo, ma procedendo all’inverso. Si diffondono sempre più soluzioni di private messaging che introducono funzioni di gruppo: in pratica partono dalla conversazione tra due persone e la allargano a piccole cerchie di persone.

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Line, WeChat e Whatsapp sono tra le principali applicazioni di messaging diffuse anche nel nostro paese, oltre a Facebook Messenger. Ciascuna ha caratteristiche peculiari e interpreta in modo diverso la conversazione, ma la loro crescita evidenzia un interesse molto importante da parte delle persone.

Qual è il ruolo dei brand in questa evoluzione? Dal punto di vista strategico, essere “enabler” di una conversazione diventa sempre più importante. Attivare una conversazione che ha un livello “per tutti” e un livello più diretto e personale è rilevante e già avviene su alcuni canali tra brand e persone (ad esempio Facebook, ma anche WeChat). Per abilitare una conversazione che si diffonde attraverso gruppi ristretti è ancora più importante il ruolo del contenuto, che deve essere pensato per nicchie e non come un elemento “medio” e trasversale. Sempre parlando di contenuto, alcuni di questi canali consentono anche la creazione di varie tipologie di add-on branded.

Dal punto di vista strategico, anche stimolare il passaparola è una strada importantissima per fare in modo che la passione e l’interesse per un tema si diffonda anche attraverso canali con logica più personale. Un esempio di attività con un focus di questo tipo sono le azioni di individuazione e coinvolgimento degli influencer rilevanti per la community di riferimento del brand.

Insomma, la sfumatura social del private sharing è molto interessante per le marche e i canali che la consentono sono in pieno sviluppo. Per le marche sarà interessante seguire questa evoluzione, continuando a coltivare la propria relazione con le community, in modo coerente con le proprie strategie di conversazione e considerando sempre il valore aggiunto che possono creare insieme alle persone, il proprio “social value”.