5 insegnamenti dal 2014, per affrontare il 2015
E allora, nonostante non sia un amante dei resoconti di fine anno (o di inizio anno nuovo), è interessante dare un’occhiata a quello che è stato il 2014 sui social media, in modo da capire qual è il punto di partenza di questo 2015.
Partiamo dal dato numerico complessivo: oggi quasi 3 persone su 10 sono utenti attivi di almeno una piattaforma social. I social media hanno infatti raggiunto una penetrazione del 28% sulla popolazione globale, superando così i 2 miliardi di utenti attivi:
• Facebook conta 1.3 miliardi di utenti
• Google+ 343 milioni
• Linkedin 300 milioni
• Instagram 300 milioni
• Twitter 280 milioni
• Tumblr 230 milioni
Qui l’infografica completa
Si tratta di persone che accedono frequentemente a queste piattaforme, e lo fanno utilizzandone sempre di più, dedicandovi – complessivamente – sempre più tempo: il 28% del tempo trascorso online è oggi speso sui canali social (i ragazzi tra 15 e 19 anni spendono, mediamente, 3 ore al giorno interagendo sui social network; quelli tra i 20 e i 29, mediamente, 2 ore al giorno).
L’Italia è il paese dove, rispetto al 2013, è cresciuto maggiormente l’utilizzo di canali social nel 2014: 3 utenti internet su 4 hanno interagito sui social media almeno una volta a settimana (contro il 69% registrato nel 2013, secondo questo studio di Ofcom).
Le aziende stanno reagendo all’evoluzione dello scenario in cui si trovano a interagire con le persone, e lo stanno facendo ridefinendo alcuni concetti molto importanti: eccone 5, frutto di una razionalizzazione che potete trovare in quest’infografica, e che abbiamo voltuo approfondire di seguito.
1. Real-time ≠ Right-time
“Real-time marketing” è stato uno dei termini più usati (e spesso abusati) degli ultimi mesi, ma il focus si sta spostando oggi sull’individuazione del right-time, piuttosto che del real-time (seguendo la definizione di Monica Bhandarkar – VP, Social Media di KSHA&A Communications): ci sono stati alcuni casi – come il morso di Suarez durante i Mondiali di calcio in Brasile – che hanno visto molte aziende competere tra loro per guadagnare l’attenzione delle persone sfruttando un singolo episodio, ma il 2014 è stato anche l’anno in cui è stata sancita l’importanza di pensare a come distribuire al pubblico giusto, il miglior contenuto nel momento in cui poteva creare un vero valore delle persone.
È il caso della campagna #allin che abbiamo realizzato insieme ad Adidas durante la manifestazione brasiliana, che Christian Purser, chief digital officer di M&C Saatchi Group, ha definito:
“An industry defining campaign that shows the power of well planned, well-conceived and well delivered social media at scale.”
2. Media e contenuto non sono due mondi separati
Il 2014 è stato anche l’anno in cui sono cambiate le dinamiche di distribuzione dei contenuti: la qualità dei contenuti necessita oggi di una strategia media dedicata, che non faccia più leva su un approccio di campagna, ma di pianificazione always-on. Ogni giorno cresce il numero di singoli contenuti prodotti e condivisi non soltanto dagli utenti, ma anche dai brand, ed è quindi sempre più importante che la strategia media e quella di contenuto vengano sviluppate insieme, in modo da assicurare visibilità in momenti importanti, per i contenuti che si desidera vengano fruiti da audience specifiche.
Questo non riguarda soltanto Facebook, ma anche Instagram (che ha annunciato, e iniziato il roll-out, i propri promoted products) e di Twitter, che con l’introduzione della feature “While you were away” punta a creare un’esperienza basata anche sugli interessi dei propri utenti, oltre che sulla distribuzione “temporale” dei contenuti.
I brand focalizzati sulla generazione di lead, che hanno già iniziato a sviluppare una strategia di contenuto legata a quella di pianificazione media, hanno visto incrementare le conversioni: l’impatto dei contenuti che hanno potuto contare su un sostegno media hanno ottenuto risultati migliori del 25%. La promozione di contenuti permette infatti di segmentare in maniera più precisa ed efficace l’audience e di far sì che sia possibile raggiungere persone effettivamente interessanti (e interessate) in momenti specifici, con contenuti adatti alle loro esigenze.
3. L’approccio editoriale è sempre più importante
I brand sono sempre più consapevoli dell’importanza di creare contenuti di qualità: basti pensare a come sta cambiando un’azienda come RedBull (il cui business è sempre più sbilanciato verso la creazione di un mondo in grado di emozionare e coinvolgere le persone attraverso i contenuti creati, come un vero e proprio broadcaster), o di Volvo (che attraverso un progetto di contenuto ha saputo comunicare con il proprio pubblico in modo completamente nuovo – anche considerando la tipologia di target che aveva la sua campagna).
Il 59% delle aziende prevede di incrementare i budget dedicati alla creazione di contenuto durante i prossimi 12 mesi.
4. Video non significa soltanto Youtube
Gli ultimi mesi dello scorso anno hanno visto verificarsi un sorpasso “storico”: per la prima volta sono stati visti più video su Facebook che su Youtube. Non si tratta solo del dato numerico in sé, ma di una tendenza sempre più diffusa di fruire di contenuti video da piattaforme diverse: video non significa più soltanto Youtube, ma anche Vine e Instagram, oltre a Facebook appunto.
È sempre più importante capire l’audience che si desidera raggiungere e il tipo di progetto di contenuto che si desidera realizzare: Youtube rimane una piattaforma unica e con una penetrazione elevatissima, ma ci sono diversi fattori che oggi è sempre più importante tenere in considerazione, anche viste le diverse modalità di accesso ai contenuti da parte delle persone.
E non sono soltanto le visualizzazioni a rendere Facebook un canale sempre più importante per la creazione di video, ma anche le condivisioni – come ci racconta questo studio di Socialbakers.
Non stupisce quindi l’introduzione, anche da parte di Twitter, dei video nativi, annunciati poche ore fa al #CES2014, come anticipato da The Verge:
Our first native Twitter video is a look back at #CES2014: https://t.co/iwM5RTl8pR
— The Verge (@verge) January 4, 2015
5. Visual, visual, visual
Durante gli scorsi mesi abbiamo parlato spesso della sempre maggior importanza dei contenuti visuali, fondamentali per conquistare l’attenzione delle persone: sempre più contenuti fanno sì che sia sempre minore la soglia di attenzione per il singolo “pezzo di contenuto” e impongono ai brand di capire al meglio il linguaggio con cui parlare all’audience (e il canale su cui farlo).
Instagram ha superato i 300 milioni di utenti, ma ha registrato soprattutto un incremento dell’engagement del 416% in soli 24 mesi (come riportato da Simply Measured).
✔︎ BONUS. Chat apps on the rise
Il 2014 è stato anche l’anno in cui le applicazioni di messaggistica hanno saputo imporsi, sia a livello numerico (WhatsApp conta oggi più di 700 milioni di utenti – con un incremento di 200 milioni da quando è stato acquisito da Facebook – che inviano qualcosa come 30 miliardi di messaggi ogni giorno), sia in termini di nuovi linguaggi attraverso cui le persone interagiscono (basti pensare a Snapchat, e al modo in cui alcuni brand hanno già iniziato a usarlo – o ancora a WhatsApp e al modo in cui è stato in grado di fungere da ulteriore fonte di traffico – ad esempio – per FTW, sezione dedicate allo sport di USA Today).
La crescita di queste piattaforme è un segnale molto chiaro del grado di maturità raggiunto dai social media in senso più ampio: la presenza ormai trasversale su tutte le fasce d’età della popolazione sui canali più diffusi impone una sorta di auto-segmentazione che permetta di esprimersi, di volta in volta, nel modo più adatto. È quindi evidente che – soprattutto i ragazzi più giovani – utilizzino Facebook o Instagram in modo diverso, e preferiscano relegare a luoghi più “privati” determinate conversazioni.
Facebook rimane un luogo di relazione fondamentale, ma non è più popolato soltanto dai propri coetanei, e le persone sono sempre più coscienti del suo utilizzo, così come Twitter: piattaforme di instant messaging offrono la possibilità di “eludere” le restrizioni imposte da questi canali, e di creare delle micro-reti di relazione con cerchie più ristrette di amici, dove condividere informazioni privati, ma anche i contenuti più divertenti trovati sui canali social “tradizionali” o opinioni “delicate”.
Sarà sempre più importante per i brand favorire e facilitare la distribuzione di contenuti anche su queste piattaforme, facendo sì che siano poi gli utenti – spontaneamente – a voler interagire, ma senza commettere l’errore di voler invadere quello spazio così prezioso proprio perché considerato privato dagli utenti. Si tratta di un terreno decisamente interessante soprattutto per i publisher, che dovranno preoccuparsi di rendere sempre più semplice e immediata la possibilità di condividere i contenuti che creano anche su queste piattaforme, ma – in fondo – i social media stanno rendendo l’approccio di moltissimi brand sempre più vicino a quello dei publisher, quindi l’evoluzione di queste piattaforme riguarda molto da vicino chiunque desideri mantenere una presenza davvero rilevante.
Ah, buon 2015. 🙂