THANK GOD WE ARE SOCIAL #396
Anche se non ci piace ammetterlo, siamo tutti un po’ fashion victim.
L’ultima Milan Fashion Week Uomo si è conclusa e questo TGWAS è dedicato ad alcune delle campagne più discusse (e criticate) nel settore della moda.
No, non stiamo parlando del lancio delle sneaker più famose del 2018, protagoniste dei nostri feed di Instagram.
E neanche dei pantaloni di plastica che ci hanno fatto vedere tante cose (forse troppe).
La moda spesso segue tanti trend di stile e comunicazione, spingendosi oltre le logiche tradizionali. Una scelta che spesso viene considerata coraggiosa, ma che ha portato nel corso degli anni anche a risultati meno positivi.
Flashback agli anni ’60, un periodo in cui molti stereotipi sono stati schiacciati, molte regole sono state riscritte e molte donne si sono liberate. Ma quindi, perché quelli di Broomsticks, un marchio di pantaloni, hanno deciso di creare questo dibattuto pezzo di comunicazione?
Foto Via Jezebel
Questa immagine la dice lunga sulla pubblicità della moda del passato, che ruotava attorno a temi sessisti. Perché? Alcuni lo chiamano “sex sells strategy”.
Un approccio che (anche se mitigato) ha fatto gola anche ad altri brand, come ad esempio Suitsupply, Calvin Klein, Dolce & Gabbana e Tom Ford.
Anche Gucci ha ceduto a queste tentazioni in una campagna del 2003: lo ricordiamo con uno scatto della modella Carmen Kass con lo slip a metà gamba e il pube rasato, che evidenziava una lettera “G” simile al logo Gucci.
Inutile dire che la risposta è stata travolgente e anche l’Advertising Standards Authority U.K. ha ricevuto innumerevoli lamentele dai consumatori ritenendola “profondamente offensiva”.
Parlando sempre di high fashion, anche il brand parigino Yves St. Laurent é incappato in numerose critiche quando ha deciso di promuovere la sua concezione di “porno chic” con degli scatti che mostravano una modella in calze a rete, con le gambe aperte davanti alla telecamera.
Un chiaro esempio di come una campagna può “contravvenire ai codici pubblicitari relativi al rispetto per la decenza, la dignità, la violenza, così come l’uso di stereotipi” come riferito da Stéphane Martin, direttore della Autorité de Régulation Professionnelle de la Publicité in Francia.
Ma non è tutto: oltre agli stereotipi di genere ci sono anche quelli di razza. Vi ricordate dello scandalo di H&M?
Sì, il gigante del fast-fashion ha pubblicato un’immagine sul suo sito web con un giovane ragazzo afroamericano che indossava una felpa verde con lo slogan “Coolest Monkey in the Jungle”. Gli utenti di Twitter, e non solo, hanno subito attaccato il brand per la sua mancanza di sensibilità culturale.
A volte non tutti fanno tesoro delle lezioni del passato (degli altri).
Ecco il più recente caso di D&G. Certo, il marchio è sempre stato oggetto di discussione a causa delle frequenti dichiarazioni polemiche da parte di uno dei suoi founder, ma non aveva mai raggiunto i nefasti effetti di #DGlovesChina.
Instagram ha mostrato una modella cinese che tentava -invano- di mangiare tipici piatti italiani con le bacchette. Tutto è peggiorato quando l’account Instagram @diet_prada ha condiviso dei commenti razzisti firmati da Stefano Gabbana. L’hashtag #BoycottDolce ha fatto trending su Weibo ed entrambi i fondatori hanno dovuto scusarsi, in seguito alla cancellazione della loro sfilata di Shanghai.
Dai temi dei pregiudizi culturali a quelli sociali: é il caso di Pepsi con lo spot “Live for Now”.
Certo, il brand voleva dimostrare come gusti simili mettano insieme le persone condividendo un messaggio di pace, ma lo spot è stato ampiamente percepito come una strategia poco efficace e credibile per inserirsi nel conversato sul movimento Black Lives Matter. Non è stata apprezzata la scelta della top model Kendall Jenner, così come discutibile è stata reputata la scena in cui lei lascia il lavoro nel fashion per unirsi alla protesta.
Centinaia di persone hanno reagito negativamente sui social, tra cui Madonna.
Morale: se un brand si vuole inserire negli “hot topic” di attualità, è importante che trovi sempre un modo rilevante per farlo, in linea con i propri valori.
Una disavventura fashion un po’ più divertente e leggera, quella di Fendi.
La “sciarpa-vulva” in seta rosa, con inserto di pelliccia, di sicuro aveva una certa somiglianza con una parte anatomica ben precisa del corpo femminile. Forse è il caso di fare i complimenti al brand per il suo supporto femminista del “bushy look”, ma dopo tutti i tweet, non siamo certi che la gente ne voglia indossare una, soprattutto se il prezzo è esorbitante ($ 990!).
Queste provocazioni sicuramente hanno contraddistinto per tanto tempo il mondo della moda (e non solo) ma non sempre si sono dimostrate efficaci, anzi, a volte si sono trasformate in veri e propri boomerang reputazionali.
TREND ALERT!
Sarà sempre più importante per i brand trovare il giusto equilibrio tra voglia di osare e messaggio da comunicare.
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