WE ARE SOCIAL TRENDS 2020: PARTE 1

Analisi
Sabrina Varaldo

Il 2020 è appena iniziato e, come ogni anno, il nostro global leadership team ha identificato le tendenze che influenzeranno il marketing e la comunicazione nel corso dei prossimi mesi.

Ecco la prima di due parti della nostra analisi.


Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, co-founder e CEO di We Are Social Milano e We Are Social Madrid

Social e customer journey: “tutto torna”

La customer journey si sta evolvendo, in linea con il nostro comportamento online, e sta diventando circolare: veniamo influenzati, coinvolti, targettizzati e quindi acquistiamo. In questo contesto i social media ricoprono un ruolo strategico, creando un circuito che si autoalimenta: la Full Customer Journey. Ma vediamo cosa succede. Fase 1, “broad targeting”: i brand identificano un pubblico ampio e preciso e iniziano a interagire con esso. Fase 2, “warm the public”: tramite azioni leggere (come commenti, video, ecc.) le marche incuriosiscono e stimolano il pubblico. Fase 3, “detailed targeting (prospecting)”: alle azioni leggere corrispondono segnali d’interesse da parte delle persone, codificati per creare un’audience più piccola e coinvolta. Fase 4, “deep actions”: a questo punto le persone sono “pronte” per essere esposte a contenuti che li spingano a intraprendere azioni più complesse, come un acquisto. Ciò che rende possibile tutto questo è un approccio strategico e puntuale alla distribuzione dei contenuti, in passato implementato solo a valle, ma oggi guida per l’intero processo. La creatività si configura come ciò che spinge all’azione e i media “paid” consentono di creare l’audience e indirizzare le persone nel “viaggio”.

Benjamin Arnold, Managing Director, New York

2020: l’anno del cambiamento

Sui canali social osserviamo una tendenza alla omogeneizzazione dei contenuti e allo sviluppo da parte delle piattaforme di feature sempre più simili fra di loro. La crescente preferenza per il dark social, rispetto all’esperienza “pubblica” del news feed, e l’esplosione di fenomeni come TikTok, ci dimostrano come le persone chiedano novità e forme di esprimersi sempre più verticali. Nel corso del 2019, molti brand hanno fatto i conti con questa nuova realtà: Pepsi, adidas, TripAdvisor e Old Navy hanno ammesso di essersi focalizzati troppo sulle performance digital a discapito del focus sul ruolo del brand in un contesto social. Questo non vuol dire che le performance non siano importanti, ma oggi le marche devono affrontare nuove sfide, ovvero trovare modalità per distinguersi e apportare valore aggiunto. La soluzione? Cambiare e reinventarsi, intercettando i desideri dell’audience da soddisfare in modo originale e creativo. È questo il social thinking coraggioso di cui avremo bisogno  nel 2020.

Coby Shuman, Managing Director, Toronto

Influence Marketing: facciamo pulizia

Nel 2019 abbiamo assistito a un punto di non ritorno per quanto riguarda lo “scetticismo” nei confronti dell’ influence marketing. Le persone oggi sono sempre più attente e hanno gli strumenti per riconoscere chi genera realmente influenza e chi fa dei tentativi forzati. Il crescente backlash nei confronti della Bad Influence – uno dei key trend del nostro Think Forward 2020 – non fermerà l’impennata dell’ influence economy, ma darà il via a un grande cambiamento: i brand risponderanno alla maggiore richiesta di autenticità con strategie social che consolidino la competenza e la rilevanza del loro roster di influencer. Chi realmente si impegnerà per coinvolgere la propria community in maniera genuina avrà successo mentre al contrario, i micro influencer “facili da comprare” che basano la loro attività sulla reach, saranno eliminati da un’audience che sa di poter decidere chi seguire… e chi abbandonare.

Alberto Pachano, Managing Director, Madrid

Addio ai Like?

I “Mi piace” non sono più il parametro di riferimento per la valutazione di un contenuto di successo (non lo sono mai stati, ma troppo spesso l’attenzione si è concentrata su questa e altre “vanity metrics”). Con algoritmi sempre più intelligenti e una crescente possibilità di coinvolgimento delle persone da parte dei brand, la considerazione per la metrica del “Mi piace” è diminuita. L’oscuramento dei “Like”, pensato per rendere le persone più libere di condividere i propri contenuti senza la classica “ansia da like”, potrebbe quindi generare una maggior condivisione dei contenuti stessi. E se le persone trascorrono più tempo sulle piattaforme, queste risulteranno maggiormente interessanti per i brand. Ciò che oggi è un po’ meno chiaro è come gli influencer possano dimostrare la reach e l’engagement generato dai loro contenuti in questo contesto, qualcosa su cui Instagram “sta lavorando”. Molti brand sono ancora focalizzati sulla “sfida all’ultimo like” con i competitor, pratica che spesso ha portato fuori strada molte aziende rispetto ai loro veri obiettivi. Nel corso del 2020 sarà quindi interessante vedere come le marche si adatteranno a queste evoluzioni, prestando maggiore attenzione alla qualità dei loro contenuti, diventando più spontanei e… social.

Jim Coleman, CEO, London

Social Self Care

Il nostro rapporto con la tecnologia e con i device sta diventando sempre più complesso. Se da un lato non possiamo vivere costantemente con loro, dall’altro non possiamo farne a meno. Il digital detox può essere una risposta nel breve termine ma, nel lungo termine, abbiamo bisogno di soluzioni diverse per gestire la nostra “dipendenza” dal digital. Il Social Self Care è uno dei trend che abbiamo analizzato in maniera approfondita nel nostro Think Forward Report 2020 sulla scia di un sempre maggiore interesse nei confronti della mental health e del consumo consapevole dei contenuti digital. Le piattaforme si stanno infatti trasformando in “luoghi” sempre più piacevoli nei quali trascorrere il proprio tempo, con iniziative e tool pensati per il benessere. Le community stanno iniziando ad auto-regolamentare le modalità di utilizzo dei social e anche i brand avranno la possibilità di essere coinvolti in questo processo, sia incoraggiando abitudini di utilizzo più sane, sia creando una vera cultura del rispetto e della gentilezza.

Sandrine Plasseraud, CEO and Founder, Paris

L’esplosione del social commerce

Quanto più i social sono diventati mainstream, tanto più le piattaforme hanno inserito funzionalità commerciali. Facebook ha fatto da apripista lanciando l’F-Commerce dieci anni fa: ha dato ai brand la possibilità di creare shop online, ma questi ultimi hanno semplicemente ricreato i loro e-commerce sulla piattaforma, senza valore aggiunto. Oggi il feed di Instagram è pieno di “post shoppable” che danno la possibilità alle persone di trovare e acquistare qualsiasi tipo di prodotto. Le transazioni possono avvenire o direttamente sull’app (attraverso la feature “Instagram Checkout”) o attraverso gli shop online. Su Pinterest, la funzione “Shop the Look” permette agli utenti di cercare e acquistare prodotti di moda e design. L’arrivo dei Digital Native Vertical Brands (DNVB) ha fatto proliferare l’offerta commerciale sui social. Un DNVB è creato in modalità “direct-to-consumer” e prevede, come unica opzione, l’acquisto online. Questo ha ovviamente inciso sull’evoluzione del comportamento delle persone destinate sempre di più ad approcciare l’utilizzo del social commerce.

Roberto Collazos Garcia, Managing Director, Munich and Berlin

Tagliamo la filter bubble

Internet e i social ci permettono di abbattere molte barriere sociali e geografiche tra le persone, fornendoci un quadro del mondo molto più bilanciato. Tuttavia, anche se milioni di persone usano le piattaforme online per espandere i loro orizzonti, tante altre le usano per creare il cosiddetto Daily Me, ovvero un filtro cucito sui propri interessi. Nel 2020 mi piacerebbe vedere molti più brand dare il loro contributo per interrompere questo ciclo, connettere le persone di tutto il mondo, aiutarle a imparare di più sulle culture altrui, esplorare nuove prospettive e opportunità.  I brand hanno la possibilità di promuovere la diversità e quello che la diversità può generare per loro e per la società.