Ecco l’atteso Think Forward Report 2020

Analisi
bruno.tecci

Esce oggi l’annuale “GPS” di We Are Social: sei trend per orientarsi e orientare la comunicazione in questo 2020 che sta ormai per arrivare. Un anno che vedrà Internet e i Social regolamentarsi ulteriormente rendendo più tortuose – ma anche più motivanti – le strade del marketing.

Si ha ormai la netta sensazione di essere giunti a uno spartiacque. A un giro di boa. A un valico alpino. Da una parte ciò che è stato finora; la rotta, il sentiero che abbiamo percorso. Dall’altra, una grande incognita.

Siamo perfettamente consci del fatto che quel “giocattolo”, che tanto negli anni ha avuto la capacità di esaltarci, di farsi amare, di rendersi necessario, si sia oggi un po’ deteriorato. Perché qualcuno ha ecceduto con le “funzioni collaterali”. Risultato? Adesso, ogni tanto, ci sembra di avere a che fare con una sorta di intelligenza artificiale troppo intelligente; in grado di prendere il sopravvento.

E così, eccoci che cerchiamo di correre ai ripari. Basta all’odio, all’influenza, alla distrazione dilaganti in rete! Eccoci che tentiamo di aggiustare quel giocattolo, di imbrigliarlo un po’, sperando di non doverlo gettar via per ripensarne uno nuovo. Perché nel frattempo, senza di esso, proprio non saremmo in grado di stare.

I sei trend che abbiamo individuato quest’anno ci parlano proprio di questo: sono sia una fotografia dei giorni da “esame di coscienza” che stiamo vivendo sia delle chiare coordinate per muoversi – a livello di comunicazione ­– nello scenario che ci attende il prossimo anno.

Perché, se finora Internet è stato approcciato – da alcuni spregiudicati – come un Selvaggio West, oggi “La Legge” comincia a giungere anche nei territori di frontiera. E ciò può andare a beneficio di tutti: user, creator, piattaforme, e pure brand e prodotti. Se regole più stringenti, infatti, divengono chiare e uguali per tutti, be’, allora che vinca il migliore!

Il primo trend lo abbiamo chiamato Added Value.

Ha a che fare con il crescente riconoscimento – a livello di proprietà intellettuale, stile e creatività originali – che i contenuti dei creator stanno ottenendo, in primis dalle relative community. I brand devono stare ora molto più attenti che in passato nel non sfruttare ma coltivare questi talenti, per non generare rigetto da parte di chi li segue e sostiene.

 Il secondo trend è intitolato Social Self-Care.


Ci racconta di quanto le persone siano oggi molto più attente alla loro mental health e di come, di conseguenza, si approccino in maniera più misurata e consapevole al consumo digital. I brand, come massivi creatori di contenuti, devono essere capaci di veicolare, attraverso le proprie campagne, “qualità e valore emozionali” per non esser tagliati fuori.

Il terzo è Bad Influence.


Tratta, naturalmente, di influencer e della loro lucentezza che, in alcuni casi, si sta offuscando (a favore, forse, dei creator?). Perché una volta erano un faro di autenticità, competenza, rilevanza, ma poi col tempo – diventando molti di essi “media di massa” – le maglie si sono allargate lasciando passare un po’ di tutto. Le persone ne sono consapevoli e divengono giorno dopo giorno più attente rispetto a pertinenza e qualità di ciò che essi veicolano.

Poi abbiamo Overt Privacy.


I Social: da grande palcoscenico a stanza privata. Dopo anni di ultra-esposizione le persone sono stanche di apparire “troppo” sui canali e venire, di conseguenza studiate e “sorvegliate”. Stanno riprendendo il controllo della loro presenza, cancellando le impronte lasciate lungo il cammino digital. Nascondendosi dai brand, dalle piattaforme e pure dalle proprie cerchie più ampie. Ai brand si presenta la sfida di essere più discreti, riservati. Di capire come chiedere il permesso.

Il quinto trend prende il nome di Running Commentary.


Che, brevemente, parla di “lunghezza narrativa” (argomento che abbiamo già trattato poco tempo fa, qui e che stiamo periodicamente continuando a trattare). 

I Social, lo abbiamo detto e ridetto, sono maturi: la brevità non è più la chiave del successo. Piuttosto, complessità e articolazione rispondono meglio al bisogno di argomentazione e opinione che le persone manifestano in certi ambiti. I brand, con trasparenza e onestà, devono cercare di individuare, e poi avere un punto di vista, rispetto ai topic che interessano davvero alle loro audience. I meme continuano a funzionare ma non bastano più.

Infine, il sesto trend: Cultural Crossfit.


La logica secondo cui le persone siano un insieme di interessi verticali separati ed ermetici è decisamente superata. La fluidità è la realtà. È normale farsi guidare da apertura e collaborazione, soprattutto in Rete. Le culture, le categorie, le verticalità e i generi vengono costantemente mescolati e vissuti senza paratie stagne. I brand non solo devono sposare questa attitudine, ma spingersi pure oltre, in luoghi, con linguaggi e partner mai immaginati prima.

Ed eccoci qua, giunti alla fine di questa rapida panoramica. Per un maggiore approfondimento, qui trovate l’intero Think Forward Report 2020.

Se in quello dell’anno scorso, insomma (lo trovate ancora qui), tracciavamo il perimetro della zona d’impatto di determinati aspetti legati all’evoluzione (e all’uso) sia dei Social sia della tecnologia digitale, in quello di quest’anno diamo le proporzioni dell’impatto. E quindi della sfida che si presenta a chi comunica. Che deve adattarsi, innovare e creare sempre nuove strategie per legarsi alle proprie audience, soprattutto le più giovani (per esempio alla Gen Z qui alcune nostre indicazioni in merito a “come” farlo). Fatte di persone non più lì, immobili e disponibili, pronte a essere raggiunte da messaggi qualsiasi.

Per questo, al di là dei positioning – anche i più granitici – i brand devono aver chiaro: qual è il proprio communication role? Costantemente in proiezione, anticipazione e adattamento rispetto al mondo che evolve loro intorno alla velocità di Internet, ossia della luce?

Qual è la propria maniera di “stare” all’interno della società? Dando un “onesto” punto di vista, e quindi risultando davvero rilevanti per le persone?

Quali sono le opportunità ma anche i propri doveri e limiti?

In altre parole: qual è la propria chiave per essere un Brand Activist, in un contesto globale che questo chiede alle aziende?