Social al tempo del Coronavirus

Analisi

In questi giorni surreali, se volete trovare qualcuno in Italia, da dove iniziate? 

Luigi Gubitosi, CEO di Telecom Italia, ha annunciato che la sua azienda sta rilevando un aumento del traffico online di più del 70%, con grande contributo proveniente da game online, come Fortnite. Importante specificare che “come Fortite” non sia un’espressione di chi scrive, ma sia proprio l’esempio citato ufficialmente in una call con gli analisti dall’amministratore delegato di una delle nostre più grandi compagnie di telecomunicazione. 

Quindi partite da lì. O da Call of Duty.

Fonte: Epic Games

Oppure iniziate da una qualsiasi delle applicazioni social che utilizziamo di più: YouTube, Instagram, Facebook, WhatsApp, Messenger, TikTok, Hangouts. In un momento come questo, in cui un virus ci costringe ad annullare i contatti sociali dal vivo, aumentano le interazioni sociali abilitate dalla tecnologia. È una risposta alla potenziale “social recession”: un collasso nei contatti sociali, percepito più duramente nelle popolazioni più vulnerabili all’isolamento e alla solitudine. Ezra Klein, in un articolo per Vox che vi consiglio di leggere, cita Cynthia Boyd:

“Dobbiamo abilitare le persone a rimanere più connesse possibile. Dobbiamo pensare a ciò che gli individui possono fare, ma anche a ciò che noi come vicini e società possiamo fare”.

Isolarci a casa, ci sta facendo sentire più insieme. Negli ultimi giorni, ogni volta che avete aperto un browser, avete incontrato di iniziative lanciate da persone, associazioni, istituzioni o brand come reazione a questa nuova situazione. Tutte avevano qualcosa in comune: avvicinare le persone, nel momento in cui possiamo avvicinarci di meno.

I sedili vuoti di intere sale da concerto in tutto il mondo sono stati gli unici spettatori dal vivo presenti alle esibizioni di artisti abituati a centinaia di spettatori. Spettacoli che oggi attraggono online decine di migliaia di persone, collegate a guardare, interagire e applaudire in un unico gesto mondiale.

Fonte: The New York Times, Peter Adamik

Lo sfortunato primato italiano nella diffusione del virus ci ha stimolato a individuare per primi le nostre soluzioni. Abbiamo assistito alla nascita dell’aperitivo via canali social, ad applausi coordinati in tutta Italia, a maratone live, a lauree in streaming, a karaoke e feste di compleanno via app. Idee che ora vediamo adottate da altri paesi, che ci seguono nel percorso di diffusione.

Abbiamo anche trovato un modo di raccontare ai nostri amici all’estero quali siano i pregiudizi su questo virus e come cambino in pochissimi giorni, quando veniamo a contatto diretto con le conseguenze del contagio.

Come hanno reagito le piattaforme social?

Questo momento storico ha preparato il terreno per una reazione da parte dell’intera industry. In pochissimi giorni, lo scenario si è ribaltato. Dal 2016 abbiamo visto aumentare ogni giorno storie legata all’impatto potenzialmente negativo dei social media sulla socialità. Invece, da pochi giorni, le piattaforme che usiamo come strumento principale per connetterci con le persone e i nostri interessi, si sono mostrate fedeli alla loro promessa iniziale. Hanno aiutato le community a strutturarsi e permesso un accesso democratico all’informazione. Questo sarebbe del tutto inutile senza un terzo, fondamentale gesto: si sono impegnate a filtrare la parte nociva dell’informazione.

Le piattaforme hanno attraversato anni di successi, errori, scoperte e incomprensioni. Le principali aziende della Silicon Valley hanno reso più maturi i propri algoritmi, hanno assunto migliaia di moderatori, hanno imparato a collaborare con istituzioni e giornalisti. Il risultato? Le piattaforme sono diventate affidabili nell’affrontare la crisi del Coronavirus. In alcuni casi, più di alcune istituzioni.

Certo, per la struttura di queste piattaforme, a volte rimane ancora impossibile controllare la qualità delle informazioni e in alcuni casi si diffondono contenuti problematici, anche a causa della mancanza di visibilità su ciò che è criptato.

Tuttavia, in concreto, abbiamo visto Facebook e Instagram garantire credito illimitato in advertising alla World Health Organization per informare sul virus, consentire l’accesso a dati in forma anonimizzata, limitare la diffusione di disinformazione, connettere le persone con fonti credibili, offrire supporto ai governi e ai leader di aziende e community, sospendere tattiche di advertising che sfruttano la situazione (ad esempio per vendere maschere sanitarie a prezzi gonfiati). Twitter ha invitato le persone a informarsi da fonti credibili. YouTube indirizza le persone a fonti WHO ufficiali, sponsorizza WHO in abbinamento a tutti i contenuti video che parlano di Coronavirus, toglie visibilità ai video che diffondono disinformazione e consente ai creator di parlare del Coronavirus e monetizzare i video di qualità. Anche Google e Microsoft hanno partecipato agli interventi mettendo a disposizione gratuitamente i propri strumenti professionali di streaming. Molti altri hanno contribuito a questi cambiamenti.

Queste piattaforme, rivali storici, si sono alleate per rispondere insieme a questa crisi, aiutando milioni di persone a connettersi e a combattere la disinformazione, lavorando con governi e istituzioni. Reagendo a questa situazione, hanno dimostrato un senso di responsabilità che non avevamo ancora visto e che farà del bene alla nostra relazione con gli strumenti social che rappresentano.

Quali sono le implicazioni per i brand?

In un momento come questo, è importante che i brand siano a fianco delle persone, senza approfittare della situazione, ma mettendo invece a disposizione il proprio contributo.

Per le marche si tratta, innanzitutto, di esserci, dove possono essere utili: per rassicurare e aiutare, adattandosi velocemente alle situazioni. Tra le tante azioni, interessante la campagna di Lush, nel periodo precedente alla chiusura degli esercizi: ha messo a disposizione i propri prodotti alle persone perché potessero lavarsi le mani, limitando il rischio di contagio.


Campagna Lush “Come in and wash your hands free” – Fonte: Bristol Live

È il momento ideale per rendere “reale” il purpose dei brand, se questo è compatibile con il supporto alla gestione della crisi. Sono molti gli esempi delle piattaforme, che gratuitamente connettono le persone con WHO.

Un ultimo spunto: oggi più che mai, le marche possono sfruttare una delle proprie caratteristiche fondamentali, aiutando le persone a riunirsi (anche se virtualmente) e a stare insieme (anche se virtualmente). Google, ad esempio decide di mettere a disposizione gratuitamente i propri strumenti avanzati di conferencing, supporti fondamentali in questo momento storico.

Cover Image: The New York Times