Perché Clubhouse non è un’alternativa alle altre piattaforme social

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Luca Della Dora

Che tu sia tra quelli che stanno cercando disperatamente un invito o che tu non ne abbia minimamente sentito parlare, dovresti prestare attenzione a una piattaforma social che sta attirando su di sé l’attenzione in queste settimane: si chiama Clubhouse ed è un nuovo tipo di social network, completamente focalizzato sull’audio.

È abbastanza difficile ignorare la sua crescita, e non soltanto in termini di conversazioni: Clubhouse ha infatti raggiunto una valutazione di circa $100.000 quando contava soltanto 1500 utenti (il suo lancio risale a Marzo 2020), e ora che sono più di 2 milioni le persone a usarla ogni settimana il suo valore ha superato $1 miliardo (anche dopo l’ultimo round di investimenti da parte di Andreessen Horowitz).

Ma facciamo un passo indietro.


COS’È CLUBHOUSE

In breve: Clubhouse è una piattaforma social dove l’interazione avviene soltanto attraverso l’audio e il suo obiettivo è permettere alle persone di prendere parte a conversazioni che abbiano valore per loro.

Ma vediamo ora, un po’ meno in breve, cosa significa “di valore” e perché Clubhouse è così diverso dalle altre piattaforme social.

Per prima cosa per accedere a Clubhouse hai bisogno di un dispositivo iOS (la versione per Android non è ancora stata rilasciata) e di un invito (ma, nel caso non ne avessi ancora uno, puoi comunque registrare il tuo username, così da averlo disponibile quando qualcuno dei tuoi contatti ti inviterà – o ti vedrà in lista di attesa, e potrà farti saltare la fila).

Quando accedi all’app puoi iniziare a navigare tra le diverse Rooms dove altre persone stanno discutendo di temi specifici o magari chiacchierando del più e del meno, come se si trovassero al bar. Puoi decidere in che Room entrare in base a quello che ti interessa: potrebbe essere l’argomento di conversazione oppure il tuo interesse potrebbe dipendere dalle persone che stanno parlando in quel momento.

Come dicevo, Clubhouse non è appena nata e in diversi paesi ha già raccolto un buon numero di utenti che hanno iniziato a sperimentarla e a creare format riconoscibili che le persone seguono, mentre in altri paesi – come in Italia – ha iniziato a diventare popolare nelle ultime settimane: questo offre diverse opportunità per chi sta iniziando a usarla, perché consente di testare diversi approcci e di modificarli giorno dopo giorno in base ai feedback degli altri utenti. 

Dalla Room dedicata a sessioni di Q&A su temi specifici condotte da esperti dei settori più disparati (anche se, com’è normale che sia, al momento a farla da padrone sono esperti di marketing o di tecnologia) a stanze senza temi specifici, fino a gruppi di discussione di eventi o trasmissioni televisive (ad esempio, di domenica vedrete fioccare quelle che commentano le partite di Serie A; o la sera vi potrete imbattere in quella dedicata ai fan di “Un posto al sole” – sì, giuro che esiste).

Dicevo, siamo in quella fase in cui le persone sperimentano e provano nuovi modi per interagire su una piattaforma “nuova” ma che si basa su uno dei modi di comunicare più tradizionali: la voce e le conversazioni vocali sono state per decenni l’unico modo di interagire con persone non fisicamente presenti nello spazio che viviamo – e infatti radio e telefono sono percepiti come mezzi preistorici dalle generazioni più giovani.

Per spiegare un po’ meglio cosa intendo per “sperimentare”, un paio di esempi possono aiutare: ti interessa la meditazione? Bene, qualcuno ha creato una Room dedicata a questo, in cui la conversazione è sostituita dal… silenzio. Sì, una piattaforma solo audio usata per stare in silenzio. Ci si potrebbe chiedere perché (e infatti me lo sono chiesto) e la risposta è che psicologicamente si è maggiormente spinti a concentrarsi (o, più in generale, a fare qualcosa) se sappiamo che insieme a noi lo stanno facendo anche altri (un po’ lo stesso meccanismo che ci porta a condividere i nostri progressi su Runkeeper o simili).

Oppure, siete single ma siete stanchi di Tinder e Bumble? Non c’è problema, sono state create delle Room dedicate agli appuntamenti al buio, dove il moderatore sceglie tra il “pubblico” delle persone che potranno presentarsi brevemente e trovare un potenziale partner che voglia “incontrarlo”. 

Tranquilli, questi sono solo due esempi un po’ particolari che spiegano bene come sia possibile spaziare veramente tra modalità e temi molto diversi tra loro, ma la maggior parte delle Room sono molto più tradizionali, sia in termini di format sia di argomenti di conversazione.

L’idea di fondo di Clubhouse è di dare alle persone la possibilità di interagire senza bisogno di guardare uno schermoe dopo quasi un anno passato in videocall su Zoom, è già un grande punto differenziante rispetto a quanto siamo abituati a fare quando usiamo un’app.

Questo abbassa di molto la barriera d’ingresso perché richiede uno sforzo decisamente minore sia nel caso siamo noi a parlare, sia che ci vogliamo limitare all’ascolto (possiamo farlo mentre stiamo guidando, mentre stiamo preparando la cena o durante una passeggiata).

Clubhouse offre un’esperienza completamente diversa rispetto alle altre piattaforme social in cui la componente visuale è centrale, ma un aspetto determinante è che Clubhouse non diventa un’ulteriore social che entra “in competizione” con quelli esistenti.

Pensiamo a Instagram e TikTok: il tempo che dedico al primo è tempo che non potrò dedicare al secondo (incredibile eh!?); con Clubhouse questo problema non si pone, perché ho la possibilità di scrollare il mio feed di Instagram mentre prendo parte a una Room che mi interessa (mentre farei fatica a farlo mentre accedo a TikTok). E questo fa tutta la differenza del mondo.

Forse quello che stai pensando ora è che non è così diverso dal modo in cui si ascoltano i podcast, e quindi sono loro a entrare in competizione con Clubhouse. Ma è così? Secondo me (e secondo questo post che ti consiglio di leggere) no, non è così, e anzi può diventare uno strumento in grado di arricchire ed espandere l’esperienza di fruizione di un podcast, ad esempio organizzando approfondimenti in cui gli ascoltatori di quel podcast possono partecipare attivamente alla discussione.


TIPI DI CONVERSAZIONI

Uno degli aspetti più interessanti di Clubhouse riguarda proprio la grandissima varietà in termini di diversità di conversazioni che si possono trovare. La sezione “Explore” permette di navigare tra una serie – decisamente ampia – di categoria e questo tipo di organizzazione è funzionale a trovare gli argomenti più rilevanti e che vogliamo seguire.

Oltre alla varietà dei temi trattati, ci sono anche diverse tipologie di Room: si va da quelle più ristrette, in cui più o meno tutti gli speaker si conoscono, a quelle più grandi, che replicano un po’ quello che succede – ad esempio – all’SXSW. Lo stesso discorso può essere fatto per i Clubsostanzialmente dei gruppi tematici, che lanciano con regolarità Room dedicate: anche in questo caso ci sono quelli più intimi, con poche decine di membri, a quelli più estesi, che hanno il potenziale di raggruppare migliaia di esperti (o appassionati) di determinati argomenti.


PERCHÉ È INTERESSANTE PER I BRAND

I social media offrono continuamente nuove opportunità di raggiungere nuovi consumatori o di rafforzare la relazione con quelli attuali, e Clubhouse non fa eccezione a questo. Come per gli utenti, anche per i brand ci troviamo in una fase molto embrionale e di sperimentazione, ma non è difficile individuare due macro-aree di azione.

Coinvolgimento di influencer

Nonostante Clubhouse sia relativamente giovane, ci sono già alcuni utenti che hanno guadagnato popolarità sulla piattaforma raccogliendo migliaia di follower che partecipano alle loro conversazioni, e non si tratta necessariamente di persone con ampio seguito su altri canali (anche se, chiaramente, chi è molto seguito altrove ottiene popolarità molto in fretta anche su Clubhouse – come accade con le numerose celebrità che stanno usando la piattaforma).

I brand possono, ad esempio, sponsorizzare Room moderate da queste persone quando i temi trattati sono coerenti con quelli del brand, o vicini ai suoi prodotti. Non è qualcosa di molto diverso rispetto a quanto accade quando vengono coinvolti – ad esempio – youtuber che si occupano di intrattenimento o instagramer che raccontano i loro viaggi.

Room create dai brand

Un’altra opzione è quella di creare degli appuntamenti fissi prodotti dai brand stessi, creando format riconoscibili e ricorrenti, proprio come accade con i branded content a cui siamo abituati su altre piattaforme.

Ad esempio un brand del mercato automotive potrebbe ospitare un pilota famoso che parli della sua esperienza di guida alla community; oppure un brand legato al mondo dello sport potrebbe ospitare atleti per dare la possibilità alle persone di discutere con loro delle curiosità che gli stanno più a cuore.

L’opportunità di “democratizzare” la relazione tra fan e personalità famose è uno degli aspetti più potenziali di Clubhouse, che favorisce quelle conversazioni che fino a qualche anno fa erano impensabili e che ponevano le celebrità su un piano completamente diverso e irraggiungibile per le persone.

Come accade sulle altre piattaforme, quello su cui si dovranno focalizzare i brand è il valore fornito alle loro potenziali community: creare un Club solo per promuovere il proprio prodotto non è il modo giusto di usare la piattaforma e potrebbe essere non solo inutile, ma anche dannoso, perché visto come un’invasione di uno spazio pensato per altre finalità. 

Clubhouse dovrebbe essere usato come una piattaforma in grado di fornire alle persone un servizio di valore, non attraverso cui vendere – direttamente – un prodotto.


COSA DOBBIAMO ASPETTARCI PER IL FUTURO

Nelle prossime settimane Clubhouse introdurrà la possibilità, per i creator, di monetizzare la propria attività sulla piattaforma attraverso subscription, tip o ticket per eventi dedicati (in modo non troppo differente da quello che succede su Twitch) e questo dovrebbe incentivare le persone a creare format sempre più strutturati e a far sì che la piattaforma continui a crescere sia in termini quantitativi sia – soprattutto – qualitativi.

In conclusione, Clubhouse al momento va ad integrarsi nell’ampio ecosistema di piattaforme social, ma portando un twist unico: è audio-only, e questo permette di fruirne mentre si svolgono altre attività, oltre a non renderlo un’alternativa ad altre piattaformein termini di motivazione di utilizzoma, anzi, potenzialmente un’integrazione

Il fatto di essere, oggi, disponibile solo per iOS e accessibile solo su invito fa sì che sia percepita come un luogo “esclusivo”: questi aspetti, uniti al fatto che le conversazioni sono totalmente effimere (una volta terminata la Room la conversazione infatti scompare, perché non viene registrata), fanno sì che l’effetto FOMO incrementi la sua popolarità e il tempo speso dalle persone partecipando a diverse conversazioni (ndr c’è chi sta vendendo su eBay inviti a più di $50 – ed evidente qualcuno li sta anche comprando).

Questo rappresenta sicuramente un traino in questa fase, ma quando la piattaforma sarà completamente aperta sarà interessante osservare come le Room saranno ulteriormente diversificate in termini di argomenti e soprattutto di formati: più le persone sperimenteranno e capiranno come usare la piattaforma, più partecipare alle conversazioni sarà un’esperienza che vada oltre al “vedere com’è.

Ad esempio, probabilmente inizierà ad essere più chiaro fin da subito il tema trattato, con sessioni più brevi e puntuali, in grado di offrire valore alla conversazione e un motivo concreto di prendervi parte. Questo non significa che spariranno le Room più “generiche” e votate al puro intrattenimento, anzi, ma saranno, appunto, ben riconoscibili e legate a quell’attività: e scegliere tra le une e le altre non sarà troppo diverso da quello che succede quando decidiamo se guardare una serie specifica su Netflix o se fare zapping sulla TV generalista.

I brand dovranno osservare con attenzione come le persone usano la piattaforma in modo da creare poi esperienze vicine a questi comportamenti, e non di imporre la propria presenza e le proprie “regole”.