Long-form: chi lo fa già e bene

Analisi
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Giuseppe Schiavone

Questo pezzo è parte di un approfondimento in tre episodi a proposito del long-form. Se ti sei perso la prima parte, clicca qui.

Altrimenti, qui sotto, raccontiamo cos’è un long-form fatto bene oggi e perché funziona (leggi: che cosa lo fa funzionare).

NON REINVENTARE LA RUOTA: CHI LO FA GIÀ E LO FA GIÀ BENE?

Non siamo di sicuro i primi a proporre di riconsiderare la plausibilità del long-form (e lo stesso “ritorno del long-form” è stato annunciato a più riprese: se ne parlava già nel 2013 al Festival del giornalismo, ne parlava The Atlantic nel 2014, ne hanno detto The Drum e Forbes nel 2016 e The Next Web nel 2018). Ma l’estensione dei prodotti culturali che vanno sotto questa etichetta, negli anni è cambiata.

Oggi abbiamo a disposizione un’infinità di casi di successo e buone pratiche da cui possiamo prendere ispirazione. Perché tornare al long-form non significa reinventare quello che è già stato inventato.

E allora passiamo in rassegna una lista di “best case” (for lack of a “parola italiana”) che sono long-form e, a volte e in parte, riscrivono le regole di che cos’è e come si fa un long-form.

Abbiamo provato a essere il più ecumenici possibile, ma la verità è che, quando si cercano esempi, si è sempre soggetti al bias dei propri consumi e del gusto personale. Il nostro elenco di long-form non sarà esaustivo (quale lo potrebbe mai essere?), ma siamo molto contenti se volete integrarlo.

I VIDEO YOUTUBE

Se conoscete PewDiePie (il ‘controverso’ — come usa dire — Youtuber svedese che per un periodo è riuscito a resistere all’assedio di T-Series e rimanere l’account con più subscriber al mondo) lo avete sentito scherzare più di una volta sul “10 minutes mark”. Oltre i 10 minuti Youtube dà la possibilità ai creator di ospitare inserzioni anche durante il video e non soltanto in pre-roll.

Questo chiaramente ha generato un incentivo alla creazione di video più lunghi, che, però, è in parte anche il risultato del comportamento degli utenti, alla costante ricerca di video anche più lunghi dei soliti 6/7 minuti. Ecco 4 esempi di canali che si dedicano all’approfondimento video e lo fanno in maniera documentata e, passateci il termine vago, ‘bella’.

Vox: qualunque cosa, explained

Vox è il progetto editoriale lanciato nel 2014 da Vox Media: in maniera non troppo dissimile dal nostro ilPost, Vox “spiega bene le notizie”. Perché, dicono, in un mondo con “too much information and too little context. Too much noise and too little insight” serve qualcuno che si prenda il tempo per capire e riassumere.

Vox: Explained è la serie che ha portato su Netflix il meglio della divulgazione di Vox iniziata sul loro canale Youtube. Su Youtube, gratis, potete trovare qualunque cosa: dalla storia, in 9 minuti, di come gli Stati Uniti siano diventati una superpotenza mondiale, al motivo per cui diciamo OK, fino alla ricostruzione di come l’intro di Giant Steps di John Coltrane ha cambiato la storia del jazz.

Su Netflix hanno pubblicato una stagione da 20 episodi (tutti da poco meno di 20 minuti) che affrontano (spiegano) argomenti molto vari: dal K-Pop, alle criptovalute, al politicamente corretto, all’astrologia.

Il podcast meme-generator di Joe Rogan

Joe Rogan è uno stand up comedian americano. Ha 52 anni, è stato attore di sit-com, conduttore di The Fear Factor nei primi anni duemila ed è da sempre anche un commentatore di MMA (mixed martial arts). La vera popolarità (globale e su internet), l’ha ottenuta da qualche anno. Nel 2009 ha lanciato il podcast intitolato The Joe Rogan Experience che è oggi uno dei podcast più seguiti di sempre.

I contenuti del podcast sono distribuiti ovunque, ma sono i video che, dal 2013 vengono caricati su Youtube, ad aver generato, negli ultimi anni, il massimo del ‘battage memetico’ se ci concedete la licenza.

Il format è molto semplice: Joe Rogan intervista per un tempo che può arrivare fino a 3 ore uno o più ospiti. Ciascun episodio è tematico, sulla persona o su una questione.

A settembre dell’anno scorso, durante l’intervista a Elon Musk, il conduttore ha offerto da fumare della cannabis al CEO e fondatore di Tesla. La notizia ha avuto un risalto tale da aver causato una fluttuazione negativa del titolo dell’azienda del 9%, ma ha anche generato una serie piuttosto simpatica di meme con questa base.

Elon Musk ospite al Joe Rogan Experience, uno dei podcast più lunghi e più visti e ascoltati

Dal podcast, uscito a giugno di quest’anno, in cui Joe Rogan ha ospitato Bob Lazar e Jeremy Corbell (il film-maker che ha prodotto il documentario sui presunti segreti dell’Area 51) è partito il movimento dietro la pagina evento Facebook “Storm Area 51, They Can’t Stop All of Us” che alla data in cui scriviamo ha 2 milioni di persone “Going”.

Le analisi al microscopio di The Nerdwriter

Avremmo comodissimamente potuto citare Casey Neistat: sovente pubblica su Youtube spiegoni con l’ausilio di cartone, gaffa, pennarelloni, forbici e altro materiale estremamente mascolino. Ma probabilmente lo conoscete già (ha più di 11 milioni di subscriber e è letteralmente impossibile non abbiate visto il suo video per Samsung). Invece abbiamo preferito presentarvi il canale Youtube di un ragazzo che su Casey Neistat ha scritto e girato una tesi video pazzesca.

Si fa chiamare The Nerdwriter e pubblica “video essays” in cui analizza, ma più correttamente forse disseziona, testi di qualunque genere per individuare fili rossi, insight e temi di racconto. Lo ha fatto con Casey Neistat per mostrare come dietro quell’aura di vitalismo e “buona la prima” ci sia un enorme e invisibile lavoro di preparazione e editing. Lo ha fatto con Donald Trump e il modo in cui articola le risposte che dà alle domande che riceve. Lo ha fatto con Louis CK (pre-scandalo, tranquilli) mettendo la lente di ingrandimento sulla nonchalance con cui serve le battute e mostrando quanto finemente cesellata sia proprio la tecnica di delivery di battute altrimenti imperfette.

Il trattamento è sempre minimo, ma curato. Vengono editati pezzi molto specifici di materiale che l’autore vuole mettere sotto la luce e la sua voce fuori campo li commenta. Le parti salienti dei commenti vengono sottolineate da testo e animazioni.

In molti casi queste monografie non superano i 10 minuti, ma hanno un dettaglio tale, una granularità così sottile da essere esplosioni gigantesche di temi tutto sommato microscopici (ma non per questo meno importanti). Ed è per questo che, ci sembra, questi approfondimenti, pure brevi e minimali, sono un esempio chiaro di cosa intendiamo per long-form.

La droga interessante con Hamilton Morris su VICE

Hamilton Morris è il figlio di Errol Morris, documentarista premio Oscar nel 2003 e regista del documentario “The Thin Blue Line”, in cui veniva ritratta la vita di Randall Dale Adams, condannato a morte e incarcerato per un omicidio che non aveva commesso. Il figlio, Hamilton appunto, ha iniziato a scrivere per VICE giovanissimo parlando di droghe. Nel 2016 la sua colonna su VICE, “Hamilton’s Pharmacopeia” è diventata una serie di video documentari. La prima stagione è disponibile su Youtube.

Ciascuno dei video approfondisce (e spesse volte mostra direttamente la sperimentazione di) una categoria particolare di sostanze (o esperienze, per la verità) psicotrope.

Al netto della materia, l’incedere e l’attenzione con cui vengono analizzati gli argomenti rende questa serie (di cui è uscita nel 2018 una seconda stagione, al momento non caricata su Youtube) un esempio perfetto di come fare long-form video.

GLI ARTICOLI LUNGHISSIMI

L’antonomasia del long-form sono i pezzi scritti lunghissimi (ma non lunghi quanto un libro). Si tratta di un format di approfondimento/racconto che esiste da anni, ma di recente ha vissuto una specie di risorgimento digitale. In molti casi magazine o testate che di norma pubblicano i classici articoli da 500 battute escono con pagine speciali (in molti casi programmate o illustrate ad hoc) che segnalano e celebrano essay che richiedono più tempo per essere capiti, digeriti e apprezzati.

In altri, invece (è il caso del nostro secondo esempio), si tratta di outlet che sono concepiti esclusivamente per questo tipo di approfondimenti.

New York Times x Orange is the new black

Orange is the new black (da adesso, per comodità, come fanno nei forum dei veri fan, OITNB), come tutte le storie, può essere letta in modi molto diversi: è la storia molto personale di una donna che finisce incarcerata per un crimine che ha effettivamente commesso, ma è anche la commedia di quello che capita quando una trentenne dell’upper class finisce in mezzo a donne criminali di tutt’altra estrazione, ma è pure il racconto di amori che nascono ovunque, nei posti più impensabili e nei modi più grotteschi. Tra tutte le maniere in cui può essere raccontata la serie, però, ce n’è una particolarmente attuale: OITNB è un ritratto delle condizioni delle carceri femminili americane.

Proprio quest’ultimo ingresso è quello che ha utilizzato il New York Times quando è uscito con un pezzo di Melanie Deziel che, con l’utilizzo di contenuti video, illustrazioni, infografiche animate e interviste, ha tracciato un quadro di cosa significa essere una donna carcerata in U.S.

Illustrazione tratta dal long-form del New York Times su Orange is the new black.

Questo branded content sponsorizzato da Netflix è un esempio egregio di come si possa fare awareness sul lancio di una stagione (all’epoca era in uscita la seconda), raccontando in maniera convincente e ben documentata e lunga qualcosa di davvero rilevante e contemporaneo.

L’esempio fa parte di un più ampio progetto del NYT, che si chiama T Brand Studio (la T sta per Times), pensato per dare a brand e aziende strumenti per costruire long-form credibili, da distribuire sui canali della rivista. Le case che trovate al link vanno dal fact-checking alle canzoni del 2017 sponsorizzato da Spotify, all’approfondimento su IoT e intelligenza artificiale per Hewlett-Packard, fino al pezzo sui trick per il time management sul lavoro sviluppato per Slack

Il calcio oltre i 90’ dell’Ultimo Uomo

Lo sport (e in particolare il calcio) sui social network, in Italia è per una enorme percentuale trattato esclusivamente per aggiornamenti e comunicati in tempo reale. Ma c’è una quota di resistenza a questa narrazione perennemente attuale della cronaca sportiva che viene alimentata da pagine e gruppi Facebook (Lacrime di Borghetti, Zona Cesarini, Serie A – Operazione Nostalgia e il gruppo nemesi Serie A anti-nostalgica), magazine online (Undici, nato da una costola di Rivista Studio e Ultimo Uomo) e pagine Instagram (La giornata tipo): nei casi migliori questi esperimenti giornalistici e narrativi diventano un benchmark per il design web e per lo storytelling digitale.

È il caso del pezzo di Francesco Pacifico su José Mourinho uscito su Ultimo Uomo.

L’articolo, peraltro un caso di branded content abbastanza fortunato (è stato supportato da adidas), è in realtà una pagina creata ad hoc, con animazioni in parallax che si attivano (in maniera non invadente) allo scroll su illustrazioni sviluppate all’uopo da Nigel Buchanan.

Lo sviluppo del racconto ha un incedere episodico, da narrativa biografica della migliore specie (d’altronde Francesco Pacifico è un autore di livello) ed è intervallato da citazioni e enormi headline che si compongono mentre si attraversa la pagina dall’alto al basso, slider di foto di Mou, video di interviste, highlight di partite e conferenze stampa embeddati da Youtube.

Questo articolo, che è uscito nel lontanissimo 2015, fa parte di un più ampio esperimento della rivista (oggi parte del network di Sky Italia) con la narrazione lunga su internet.

Illustrazione di José Mourinho dal long-form di Francesco Pacifico per Ultimo Uomo

C’è il pezzo di Fabrizio Gabrielli su Luis Suarez e quello di Daniele Manusia su Gareth Bale e malgrado l’esperimento sia ora concluso, questi articoli rimangono la testimonianza che, con intelligenza e lavoro è possibile costruire contenuti lunghi, che le persone consumano davvero.

I confronti all’americana dell’Economist

A volte la maniera migliore per discutere di un argomento è farlo davvero dialogando con chi non la pensa come noi. Con un format simile ai confronti all’americana che caratterizzano da anni le elezioni statunitensi e da qualche tempo anche quelle italiane, The Economist apre periodicamente dei dibattiti con esperti invitati e domande formulate in maniera da ricevere risposte chiuse S/N.

I dibattiti durano 7 giorni, durante i quali entrambi gli esperti espongono le proprie tesi, rispondono ai commenti del pubblico e alle obiezioni della parte opposta. Infine si arriva una ‘decisione’ che prevede il voto da parte del pubblico online. L’intera conversazione è ‘guidata’ da un moderatore che sintetizza, organizza e pone domande (anche scomode) a entrambi gli interlocutori.

Qui potete vedere l’esempio di un dibattito dell’anno scorso sull’estensione delle libertà delle imprese di rifiutare la produzione di oggetti/servizi che disseminano idee con le quali i proprietari dell’azienda non sono d’accordo.

Si tratta chiaramente di un esempio di long-form diverso da quelli a cui siamo abituati a pensare: in questo caso il contenuto viene prodotto collaborativamente da autori e pubblico e viene consumato per interi giorni.

Il numero di commenti e la qualità di quello che viene scritto sono un indizio di come le persone siano motivate a prestare molta più attenzione di quella che di norma siamo disposti a concedere loro.

GLI INSTAGRAM LUNGHI

Il long-form, per come lo abbiamo definito, può assumere forme molto diverse e in alcuni casi nascondersi in luoghi in cui siamo abituati a una fruizione isterica e a uno scroll compulsivo.

È il caso degli account Instagram che approfondiscono, raccontano storie, occupano uno spazio e un tempo che eccede di molto i 6’’.

Instagram è un posto molteplice: negli anni si sono affastellate feature e modalità d’uso diverse. I due principali touchpoint dentro Instragram sono le stories e il feed. Ciascuno di questi (anche le stories, believe it or not) lascia potenzialmente spazio alla pratica di dire tante cose.

In feed ci sono due maniere per raccontare: la prima e la più intuitiva è la caption del post (sapevate che il numero massimo di caratteri è 2.200?); la seconda è l’inserimento del testo nelle foto o comunque l’utilizzo dello slideshow per dare profondità (anche se tecnicamente orizzontale) al racconto.

Su stories il modo di impacchettare contenuti che esorbitino i 15 secondi e costruiscano una narrazione più lunga, sono gli highlights (sapevate che non si possono salvare in un singolo highlight più di 100 stories?).

I copy lunghi per motivare e raccontare

Inserendosi nel solco del discorso sul “body positive” che account come Freeda hanno contribuito a tracciare qui in Italia, Belle di faccia, questo account di coppia (è curato da @chiaralascura e @frauleinstalker) non esce con una foto in feed se non ha un copy di accompagnamento da almeno un migliaio di battute. L’engagement medio dei post sembra sempre premiare (media commenti per post è 131, su 17k follower, con un engagement rate di più del 15%) la cura e l’impegno con cui vengono redatti i testi. Detto questo, il feed, fatto di riferimenti culturali, motti motivazionali e illustrazioni, oltre che di foto delle due admin dell’account, ha una consistency visiva che aiuta la riconoscibilità dei contenuti, rendendo più plausibile la ‘sosta’ dei pollici sul singolo post e quindi la lettura del testo.

Per il secondo esempio di account IG con copy lunghi abbiamo pensato a Airbnb Experiences. Non Airbnb (che pure non lesina sui caratteri, alla bisogna). Airbnb Experiences è la costola di Airbnb che estende la disintermediazione un passo oltre l’immobiliare, per rendere ancora più autentiche (almeno questa è la promessa) le visite all’estero. In sostanza è uno strumento per mettere in comunicazione chi viaggia, con chi vuole mostrare qualche parte della propria città. Di fatto, molto banalmente, margina sulla vendita di tour in località specifiche, ma, grazie al servizio, volendo anche voi potete offrire il vostro personalissimo tour dell’hinterland milanese. Per dire.

Il format di Airbnb Experiences su Instagram usa copy lunghi e multi-image fatti di video e foto statiche, che permettono di ampliare ulteriormente lo spazio del racconto sulla piattaforma.

Qui, per esempio, per promuovere un giro a Pura Gunung Merta, un tempio balinese, vengono usate foto, citazioni, file audio e brevi video. Oltre a una caption puntuale e lunghina. Il profilo è stato lanciato a luglio di quest’anno e ha già 33k follower.

Gli highlight stories infiniti di Dario Bressanini

Il long-form su Instagram, però, non è solo testuale. Lo strumento evolve (costantemente) e così le forme che può assumere il “contenuto di approfondimento”.

Una deriva interessante e molto attuale è quella della divulgazione scientifica su Instagram (e Youtube, per la verità). Qui abbiamo preso un solo caso esemplare, quello di Dario Bressanini, il “vostro amichevole chimico di quartiere” come ama introdursi nei video Youtube, che, su Instagram, senza troppa attenzione al crafting dei contenuti si avventura in stringhe da dozzine di stories in cui, seduto sul divano o in terrazza, approfondisce temi di attualità con un taglio scientifico e a volte ‘proficuamente provocatorio’ (alcuni esempi: il post con stories a supporto sulla demonizzazione della plastica, quelle su Herbalife o ancora quelle sulla reale natura del “sale rosa”).

Screenshot del profilo Instagram di Dario Bressanini, re del long-form in Instagram stories.

L’account ha 150k follower su Instagram e ha da poco superato i 300k subscriber su Youtube.
Vuoi vedere che dilungarsi funziona?

I libri in Stories della New York Public Library

“Che due balle i libri. Con le loro pagine piene fitte di parole, lunghissime da leggere. Meglio le stories. No? E allora perché non mettere i libri in stories da 15’’?”

Non sappiamo se sia stato esattamente questo il ragionamento della New York Public Library, ma comunque ci siano arrivati, questo progetto è una bomba. E infatti ha portato via qualche premietto anche a Cannes, quest’anno.

Se andate sul profilo Instagram della biblioteca potete sfogliare La metamorfosi di Kafka o Canto di Natale di Dickens in comodi stories highlight. Ciascuna storia ha il posto perfetto per tenere il pollice pigiato in attesa di aver finito di leggere la pagina.

Perché la letteratura non è morta.

Le comic strip in slideshow di @zerocalcare e @_labadessa

E i fumetti e le illustrazioni? I fumetti e le illustrazioni sono un linguaggio che funziona sia lungo, che corto. Dalle vignette del New Yorker che hanno bisogno di un solo frame e di meno di una decina di parole di didascalia, fino, invece ai multi-image in feed di Zerocalcare e Labadessa, per citare due esempi molto italiani e molto seguiti.

Si tratta di storie in grado di coinvolgere, parlare, meglio di quanto lo farebbero loro, il linguaggio di una generazione. D’altronde è questo che fa la letteratura: racconta storie individuali, in cui ci si può riconoscere tutti.

E infatti Zerocalcare ha 121k follower e Labadessa 306k.

Comic strip di @labadessa su Instagram che diventa long-form tramite multi-image.

E FACEBOOK?

I meme della Treccani per spiegare l’Ariosto
Anche su Facebook ci sono delle isole felici: una su tutte è la pagina di Treccani che, da qualche tempo a questa parte riesce in questo esperimento di sintesi surreale tra ‘attualità memetica’ e nozioni quasi-libresche.

Un esempio eclatante è questo meme uscito l’8 settembre, in prossimità, diciamo così, della crisi di governo, che ricorda con simpatia l’inizio dei lavori della compagine giallo-verde. Con un link totale, ma anche inatteso, il meme (che funziona da perfetto attention-grabber perché sovrappone l’uso della sintassi dei meme a una base non immediatamente leggibile, perché inedita, come base) è solo il pretesto per poi raccontare tutt’altro (un episodio, raffigurato nella base, tratto dal Canto XXVIII dell'”Orlando Furioso”) in un lungo approfondimento testuale.

Dipinto che illustra L'Orlando Furioso dell'Ariosto trasformato in base meme da Treccani su Facebook per un long-form in feed.


QUANDO IGTV CI HA FATTO BATTERE IL CUORE

National Geographic

A giugno 2018, in occasione del lancio della funzionalità IGTV su Instagram, National Geographic è uscita con un documentario da 47 minuti. Il titolo del video è One Strange Rock: Home. Oggi ha 1,4mln di visualizzazioni.

Nel documentario la voce di Will Smith racconta tutte le stranezze e l’inconcepibile bellezza di questo posto, la Terra, che chiamiamo casa.

Ma da allora @natgeo ha continuato a usare Instagram per la distribuzione di video di durate varie (tra i 2 e i 6 minuti). Video che riescono a raccontare, in estrema sintesi, storie affascinanti e che, da ormai un anno, le raccontano a un pubblico fatto, ogni volta, da centinaia di migliaia di persone che, evidentemente, non si fanno scoraggiare dalla durata dei contenuti.

I PODCAST. SÌ, I PODCAST

I podcast richiedono l’attenzione della radio, ma, in più, anche lo sforzo di scegliere cosa ascoltare, di essere deliberati sul contenuto. Eppure, malgrado questa ‘barriera all’accesso’, stanno vivendo un piccolo Rinascimento: secondo uno studio di Edison Research, nel 2018, in U.S., il 44% della popolazione dai 12 anni in su aveva ascoltato almeno 1 podcast e il 26% (comunque un ottimo 73mln di persone) ne aveva ascoltato uno nell’ultimo mese. Oltre a questi dati, diciamo di fatto, ci sono i dati ‘circostanziali’: Spotify che crea una tab dedicata solo ai podcast nell’app, Apple che investe nella creazione di contenuti podcast originali, Casey Neistat che lancia il podcast con la moglie, il progetto Audible di Amazon e Storytel che in Italia fa seeding influencer come non ci fosse un domani, eccetera, eccetera.

Insomma, i podcast sono arrivati (tornati?) e sono qui per rimanere, parrebbe.

E allora vediamone tre, tre di numero.

Milano, Europa

Il primo è il progetto di Francesco Costa, che racconta Milano oggi, come un posto molto più europeo di quello che siamo abituati a sentire raccontare.

Il progetto è finanziato da Euromilano, che è una società di consulenza immobiliare che da anni investe nello sviluppo della città (for profit, sia chiaro). L’idea di dare in mano a Francesco Costa, siciliano trapiantato a Milano, che incarna perfettamente quest’idea di Milano, città delle opportunità e del cambiamento, propaggine europea in Italia, appunto, è una ottima idea.

E infatti, Francesco Costa stesso racconta che l’idea è stata premiata da “decine di migliaia di persone” che l’hanno ascoltata. Tra queste ci siamo anche noi e ci permettiamo, se avete voglia e ancora non l’avete ascoltato, di raccomandarvelo.

Se siete a Milano per sentirvi moderatamente orgogliosi. E se siete altrove per farvi un’idea di cosa succede qui.

Tim Ferriss

Tim Ferriss è l’autore di un classico tra i libri da Autogrill: The 4-hour workweek (che, per dare dei numeri, ha venduto più di 2 milioni di copie ed è rimasto per 4 anni sulla lista New York Times Best Seller).

Dalla pubblicazione del libro ha fatto qualunque cosa, ma è diventato principalmente l’host di uno dei podcast più seguiti al mondo nel quale, tramite interviste a persone di successo, cerca di isolare buone pratiche e hack per una vita migliore.

Ci potete trovare intervistato ormai praticamente chiunque: dalla fondatrice di SoulCycle, fino ad Arnold Schwarzenegger.

La durata di ciascun episodio è superiore all’ora e gli argomenti vengono toccati e approfonditi (Ferriss è chirurgico nel cercare risposte puntuali). Questo non impedisce al podcast di avere superato i 400mln di download.

Reddit “Endless thread”

Reddit è l’esempio forse più chiaro, l’incarnazione più lampante del cosiddetto “bottomless pit” di contenuti in cui si viene trascinati alle 22:30 e che ci teletrasporta alle 3am del giorno successivo senza che ce ne rendiamo conto.

D’altronde, su Reddit, è possibile trovare thread infiniti di discussioni estremamente dettagliate, in cui gli utenti più vari investono tempo e risorse per fare ricerca e approfondire i temi più assurdi.

Da questo insight di piattaforma parte il podcast di Reddit, appropriatamente intitolato “Endless thread”. Ogni episodio è dedicato a un caso di puntata: tra gli ultimi, per fare un esempio, ci sono la storia della chiesa di Hillsong (che di recente ha reclutato Justin Bieber e Selena Gomez e ha trasformato le funzioni ecclesiastiche, le cerimonie, in enormi concerti di rock cristiano) e quella di Geedis, un pupazzo misterioso, ritrovato tra delle spillette e la cui storia è molto più complessa di quello che avrebbe potuto essere.

La spilla di "Geedis", che ha dato inizio al long-form per podcast di Reddit sull'origine di questo mostro.

Anche in questo caso (e contro ogni pronostico 😬) gli episodi, che indagano e investigano, si avvalgono di interviste e interventi, durano tre quarti d’ora.

I THREAD SU TWITTER

Perfino sulla piattaforma che, per definizione, concepisce i contenuti in atomi minimi (prima da 140, ora da 280 caratteri), si lavora per un rinascimento del long-form. Lo spunto più recente, che si è rivelato particolarmente interessante per outlet di contenuto di matrice giornalistica, viene proprio dalla piattaforma: è la funzionalità che, da qualche mese, permette di costruire thread di tweet, articolando racconti navigabili a pezzi da 280 caratteri (con ovviamente anche la possibilità di integrare ciascun tweet con contenuti multimediali).

La performance di questi pacchetti di tweet, è sempre più chiaro, è superiore rispetto ai semplici tweet per rilanciare link alle storie lunghe. Plausibilmente questo è un risultato ottenuto ‘by design’ dalla piattaforma. Per motivi sensati Twitter preferisce che le persone ingaggino i contenuti in piattaforma piuttosto che altrove.

L’esperimento di Buffer linkato sopra (che ha messo a confronto thread vs. singoli tweet link con identico “oggetto”) ha mostrato che il tweet iniziale dei thread ha ricevuto il 63% di impression e il 54% di interazioni in più rispetto al singolo tweet che rilanciava la stessa storia. D’altra parte il risultato dell’esperimento suggerisce che potrebbe anche essere la cura che è richiesta dal repurposing del contenuto per un format molto particolare a portare a contenuti migliori dei rilanci che spesso possono essere ben poco creativi.

Sorprendentemente le persone apprezzano i contenuti in cui brand e creator si impegnano. Pazzesco!

Di seguito abbiamo raccolto un esempio di Twitter thread fatto bene e un piccolo bonus.

BBC Africa

La storia inizia così: BBC Africa è uscita con Anatomy of a Killing, un reportage per rintracciare le origini di un video, diventato virale nel luglio 2018, nel quale due donne e due bambini venivano portati via da dei soldati, bendati, sbattuti a terra e uccisi con 22 colpi di arma da fuoco. Il servizio giornalistico è uscito sotto forma di un video da 10 minuti. Ma non solo. A fine settembre è stato pubblicato anche come thread Twitter. Qui.

Sarà lo spacchettamento in piccoli frammenti di informazione o la chiarezza espositiva a cui costringono i 280 caratteri, ma questa versione a noi sembra funzionare magnificamente. E, per la verità, non è solo un’impressione: questo articolo di interhacktives presenta uno studio sull’engagement generato dal thread. 

La cosa più interessante è che, dopo un importante drop nelle impression tra primo e secondo tweet, l’engagement più ponderato (per il quale qui è stato usato il proxy delle risposte, dei like e dei retweet) rimane costante lungo l’intero thread.

Grafico che illustra l'engagement del long-form tramite Twitter thread di BBC Africa a seconda della profondità del thread.

In sostanza, dice Leyla Najafli, senior social media producer a BBC Africa, chiunque abbia letto il secondo tweet ha letto l’intero thread (più di 30 tweet).

Bonus track: “BE BEYONCÈ’S PERSONAL ASSISTANT” o il libro game ai tempi di Twitter

Qui entriamo nel dominio della follia produttiva, ma rimanete collegati, perché c’è da ridere.

A giugno di quest’anno l’utente @CORNYASSBITCH pubblica un thread intitolato “Being Beyoncé’s assistant for the day: DONT GET FIRED THREAD”. Ma non è un thread solo. No. È una serie di thread linkati uno all’altro, ciascuno dei quali contribuisce ad articolare, come nei vecchi libri game, delle storyline alternative nelle quali impersoniamo sempre l’assistente personale di Beyoncé e dobbiamo cercare in tutti i modi di non farci licenziare.

Non vogliamo spoilerarvi niente, ma un piccolo consiglio per iniziare col piede giusto: per colazione state leggeri!

LONG-FORM: UN HOW-TO

Ma cosa hanno in comune tutti questi esempi di contenuti long-form di successo?

Ce lo siamo chiesti, anche qui, non noi per primi. E quindi abbiamo una serie di risposte già pronte, che arrivano dalle scienze cognitive, dall’arte dello storytelling e dalla tipografia.

Sono risposte strutturali, più che di merito: vogliamo cercare di capire cosa distingue il layout, più che il contenuto, dei long-form che funzionano.

Un long-form, per avere successo – o meglio – per essere una “storia”, deve avere una situazione iniziale di partenza, l’insorgenza di un problema, e la risoluzione di un problema. Todorov, nella sua teoria narrativa, spiega come una storia si articoli partendo dalla presenza di determinati elementi. 

  1. Un equilibrio (tutto è come dovrebbe essere).
  2. La rottura di questo equilibrio (che implica il verificarsi di un evento che rompe “l’ordine” presente fino a quel momento).
  3. La presa di coscienza degli agenti (personaggi) che tale evento sia avvenuto (con la rispettiva presa di coscienza — da parte del fruitore — che una soluzione sia necessaria).
  4. Un tentativo da parte di determinati agenti nella storia, di riparare al “danno”, riportando l’ordine iniziale. 
  5. Il ritorno all’equilibrio iniziale. 

Come accennato, queste sono tutte caratteristiche che “funzionano”  a meraviglia con il cervello umano, rendendo la narrativa un elemento ad-hoc per la cognizione e l’emozione umana.

E con questo siamo arrivati in fondo al secondo capitolo di questo drill down sui contenuti long-form.

Ci risentiamo prossimamente per provare a raccontarvi che anche i contenuti long-form possono avere successo o meno, e per spiegarvi come, secondo noi, si può misurarne il successo.

“Live long(-form) and prosper.” 🖖🏼