We are all f**k’d up

Analisi
Luca Della Dora

Se non avete voglia di arrivare in fondo al post, la risposta è “no, l’industry della pubblicità non è morta e sepolta, ma non possiamo permetterci di ignorare quello che ci sta succedendo intorno”.

Eppure ogni giorno qualcuno pubblica un articolo che afferma il contrario (a onor del vero, spesso sono più i titoli che gli articoli a creare questa sensazione di apocalisse imminente).

We Are Social / We Are All F**k'd Up / People are now blind to adv

È stato questo post pubblicato a fine ottobre New York Times a offrire uno spunto di riflessione, e – per chi lavora in questo settore – un titolo del genere non può lasciare indifferenti.


È vero che ciclicamente qualcuno suona il campanello d’allarme, spesso a ragion veduta, ma è anche vero che la situazione non è così tragica come viene dipinta: lo sarebbe se si ignorasse il cambiamento che sta vivendo la società.

Qualcuno starà pensando che in realtà sia sempre stato così, che il cambiamento c’è sempre stato e che non c’è niente di nuovo in tutto questo. Vero, verissimo, quello che va considerato è che mai come in questi anni il cambiamento è stato così rapido e così diffuso. Nel bene e nel male questo è favorito da internet e dagli smartphone.

La TV ha stravolto i nostri comportamenti, il nostro modo di informaci, quello di stare insieme o di isolarci, ci ha dato accesso a finestre di intrattenimento offerte dai brand, ci ha incollato davanti allo schermo durante momenti tragici e ci ha dato l’impressione di essere di fianco a Grosso mentre aspettava di battere quel benedetto rigore.


Da una parte c’è sempre stato un palinsesto definito, un palinsesto che gli spettatori potevano solo “subire“, dall’altra gli spettatori avevano un enorme potere: potevano scegliere quando accedere fruirne, accendendola o spegnendola. Insomma, i contenuti erano confezionati e le finestre temporali per accedervi erano definite.




Internet ha preso questo modo di comportarci e l’ha buttato nel secchio dell’umido. Non siamo più noi a scegliere quando accedere a un contenuto o quando vogliamo aggiornarci su quello che sta succedendo là fuori: il concetto di là fuori non esiste più, viviamo nell’era delle notifiche push. Per non essere nel mezzo di questo flusso infinito di contenuti dobbiamo isolarci davvero, dobbiamo farlo per scelta e siamo arrivati al punto di pagare per farlo (o addirittura a essere pagati per staccarci dai nostri smartphone).


We Are Social / We Are All F**k'd Up / People are exposed to more than 10000 messages per day




Può piacere o non piacere, ma se vogliamo che il nostro lavoro funzioni dobbiamo essere consapevoli che le persone si comportano in maniera completamente diversa rispetto al passato, e – sì – odiano la pubblicità.




O MEGLIO, ODIANO LA CATTIVA PUBBLICITÀ.




Qualcuno potrà obiettare che è sempre stato così, e in effetti potrebbe anche essere vero, ma non è questo il punto. Fino a qualche anno fa, quando un film veniva interrotto da uno spot, nella peggiore delle ipotesi si cambiava canale e tutti amici come prima. Oggi le persone hanno un potere che non avevano mai avuto in passato: possono interagire (positivamente o negativamente) con i contenuti dei brand e ne possono fare quello che vogliono.




PER QUESTO È IMPORTANTE SOFFERMARSI SU UNA PAROLA: “INTERRUZIONE”.




Per decenni la pubblicità è stata esattamente questo: era tra una pagina e l’altra della rivista che stavamo sfogliando, veniva mandata in onda nel momento topico della commedia che aspettavamo di vedere da mesi, poi è diventata anche la cascata di finestre da chiudere per leggere le pagelle della partita sulla Gazzetta dello Sport.




Ci è voluto un po’ perché tutti lo capissero: le persone non sono più disposte a essere interrotte, non mentre scorrono il loro feed di Instagram o durante una conversazione su Messenger.




I social media ci hanno dato la possibilità di scegliere con quali brand interagire e quali ignorare, e questo comportamento si è diffuso anche al di fuori delle piattaforme social: questo significa che la pubblicità è finita? No, questo significa che la pubblicità intesa come “interruzione pubblicitarianon è più tollerata, e le aziende che continueranno a perseguire questa logica saranno sempre più spesso considerate una scocciatura, o – ancora peggio – diventeranno invisibili.




people USE AD BLOCKERS


La buona notizia è che esiste un altro modo di farla, un modo fatto di messaggi che arricchiscono anziché interrompere: le persone vogliono una ragione valida per dedicare il loro tempo ad ascoltare quello che gli sta dicendo un brand, e se il messaggio ha un valore – che può essere anche puro intrattenimento – allora saranno loro stesse ad amplificare la portata di quei messaggi.




Ci sono poi una serie di implicazioni che abbiamo analizzato recentemente che hanno a che fare con il ruolo che le persone attribuiscono ai brand. In un contesto in cui la fiducia verso le istituzioni e verso gli organi di informazione, i brand hanno l’enorme opportunità di prendere posizione su tematiche apparentemente lontane dal loro business.


brands have now the opportunity to be trusted




Sia chiaro, “opportunitànon significaresponsabilità“: le aziende, per definizione, devono guardare al profitto, e abbracciare una causa non significa lasciar perdere il proprio business, significa anzi sostenerlo e sfruttare determinate tematiche per catalizzare attenzione e consensi. Non può essere considerata una cosa negativa, tranne quando viene fatto in modo del tutto forzato e senza azioni concrete che sostengano la presa di posizione (e anche di questo abbiamo parlato nel post di cui sopra).




Tesla è una di quelle aziende che più che sposare una causa a livello di comunicazione, lo fa attraverso i suoi prodotti e le sue azioni. Tanto per dirne una, nel 2016 ha installato 5.328 pannelli solari e – soprattutto – 60 Tesla Powerpack sull’isola di Ta’u, permettendo così ai 600 abitanti dell’isola di fruire di energia pulita.





COSA C’ENTRA CON QUANTO DETTO FIN QUI?




C’entra perché è solo un esempio di come il modo di fare pubblicità abbia sempre più spesso a che fare con azioni che con la pubblicità tradizionale hanno poco a che fare. L’annuncio del Cybertruck è un altro ottimo esempio di quanto poco sia vera l’affermazione secondo cui “Tesla non fa pubblicità”.


Tesla Cybertruck




Tesla spende mediamente in pubblicità $6 per ogni auto venduta, 1/90 rispetto ai suoi competitor. Indovinate se son state vendute più Model 3 o più Mercedes Classe C (o se non volete indovinare, leggetelo qui).




È evidente che i motivi siano diversi, ma un aspetto è troppo palese per essere ignorato: la maggior parte delle aziende automotive parlano ai loro consumatori delle ultime incredibili caratteristiche delle loro auto, mentre Tesla parla di qualcosa di molto diverso.


TESLA PARLA DI UN FUTURO CARBON-FREE E LE SUE AUTO DIVENTANO QUASI UN ESPEDIENTE NARRATIVO PER FARLO.






E questo è anche il motivo per cui Tesla comunica in modo differente: offre alle persone qualcosa che loro stesse vorranno raccontare, qualcosa di cui vogliono far parte. Sembra una frase detta e ridetta, ed in effetti lo è, ma è così davvero, come testimonia questo scambio di tweet tra il padre di Brian Loveday (una bambina di 10) ed Elon Musk:






Il punto non sta, chiaramente, nell’output dei video raccolti da Tesla, ma dalla capacità di Tesla di far sì che fossero le persone a parlare del brand, o meglio, dei suoi valori, creando così anche un enorme focus group spontaneo che ha permesso a Elon Musk di conoscere da vicino il punto di vista unico di tutti coloro che hanno deciso di caricare il proprio contenuto (e di distribuirlo ulteriormente sui loro canali).




Per quanto Tesla sia un caso più unico che raro, sia per il tipo di azienda, sia per il modo in cui viene vive, è un buon esempio per sottolineare che i brand di successo stanno spostando i loro investimenti pubblicitari, cambiando il modo in cui fanno pubblicità, appunto.




Giusto per citare un altro esempio conosciuto da tutti, pensate a Felix Baumgartner.


successful brand shift




Mandare una persona nella stratosfera e farla lanciare nel vuoto cos’ha in comune con uno spot in cui una famiglia felice si sveglia nel suo mulino bianco? Tutto.




Se sei arrivato a leggere fino a qui, probabilmente ti sarà un po’ più chiaro cosa intendevo all’inizio, ma, visto che un’immagine dice più di mille parole, son felice di condividere questo breve documento che raccoglie il nostro punto di vista.







Se vuoi approfondire qualche aspetto di tutto questo, scrivici pure qui, o sulla nostra pagina Facebook.